Articoli usciti sul quotidiano “Europa”

non fate lo sconto. fiscale.

Italia paralizzata dai TIR, forme di protesta indegne della convivenza civile per una vertenza di cui la fine è già  nota: uno sconto sul carburante. Gli autotrasportatori si accontenteranno e torneranno a fare il loro lavoro usurante e pericoloso. Sino alla prossima volta. Sarebbe utile allora chiedersi se è mai possibile che un grande Paese come l’Italia possa rimanere in ostaggio di 300.000 persone e se abbia senso continuare ad inseguire le richieste di questi lavoratori con ulteriori sconti fiscali. 

A me pare del tutto evidente che la risposta debba essere negativa in entrambi i casi. 

Primo fronte, quello strutturale del sistema dei trasporti: l’Italia è il Paese europeo con la più alta percentuale di merci trasportate via gomma e non su ferro. E’ moderno un sistema del genere? E’ sicuro? E’ efficiente? E’ compatibile con l’ambiente? Quattro volte no. Sarebbe quindi doveroso smetterla, una volta per tutte, di cercare disperatamente i soldi per la costruzione di nuove strade e autostrade e impegnarsi per dirottare tutte le risorse disponibili nell’ammodernamento della rete e in nuovi treni (per i pendolari e per le merci). 

Perché il centrosinistra italiano sembra condannato a non saper rispondere a questa sfida, alla quale Sarkozy, per esempio, ha saputo rispondere con la precisa decisione di non autorizzare più nemmeno “un chilometro di nuove autostrade”? 

E’ così complicato comprendere che solo una modifica strutturale e radicale del nostro modello di trasporti potrà  metterci al riparo da nuovi ricatti, quali quelli quasi “cileni” che stiamo subendo in questi giorni? E’ solo con una modifica così strategica che si potrà  rispondere alla fame di efficienza che proviene dal sistema delle imprese che oggi assistono impotenti alla rivolta dei TIR. Certo ci vuole coraggio per riformare e modernizzare il Paese. Bisogna sapere dove si vuole arrivare per dire no a tutti coloro che si agitano per avere qualche milione per un passante di qui, una variantina di lì e dirottare invece tutto sulle rotaie. Ed è questo il coraggio che il Partito Democratico si deve dare per perseguire la sua missione più autentica: quella di agire per il cambiamento di questo nostro Paese. 

Per affrontare il secondo fronte, quello fiscale, ci vuole forse persino più coraggio. Partiamo da qualche dato: in Italia il complesso della fiscalità  energetica ha conosciuto in termini reali una progressiva riduzione, passando da un totale di circa 34 miliardi di euro (in valori costanti al 2000) nel 1995, a 27 miliardi nel 2005. Ciò è avvenuto inoltre, parallelamente alla crescita dei consumi di combustibili fossili e questo significa che, per ogni tonnellata equivalente di petrolio la tassazione energetica, a valori costanti, è passata da 237 a 181 euro, con una riduzione di circa il 24%, mentre il livello di tassazione che nel 1995 era di gran lunga il più alto d’Europa, nel 2005 è sceso sotto quello dei più grandi paesi europei, in particolare della Germania e della Gran Bretagna. 

In sostanza, mantenendo invariata l’incidenza della tassazione energetica sul totale, al livello del 1995, la fiscalità  energetica avrebbe dovuto essere pari – nel 2005 – a circa 45,5 miliardi di euro, oltre 18 miliardi di euro in più rispetto al valore effettivo. Cosa vogliono dire questi numeri? Intanto, che in questi ultimi anni c’è stata una costante contrazione della fiscalità  che serviva a contrastare l’aumento del costo del petrolio, e poi che ci sarebbero ampi margini per fare una scelta del tutto opposta, e cioè spostare il peso fiscale, che attualmente mortifica i redditi da lavoro e d’impresa, sui consumi di materia e di energia. 

Mantenendo quel livello di tassazione, ci sarebbero stati ben 18 miliardi di euro a disposizione! Superando l’obiezione – che è sempre venuta da sinistra – per cui con questa impostazione si penalizzerebbero coloro che hanno redditi più bassi; spiegando, al contrario, che trovare risorse su questo fronte permetterebbe di usare davvero e con radicalità , la leva fiscale per favorire il miglioramento della retribuzione e alleggerire il peso sulle imprese. 

L’ultima obiezione da superare sarebbe l’alto costo dell’energia in Italia. Ma la pur salatissima bolletta energetica del Paese pesa solo per il 3% del PIL. Quindi il costo dell’energia, obiettivamente, può essere un fattore penalizzante solo per quei settori molto energivori che però sono anche quelli con meno futuro per il nostro sistema. Ci vuole coraggio a sostenere l’aumento, o almeno la non diminuzione, delle tasse sui prodotti energetici? Certo, ma passa anche attraverso queste scelte, in grado di liberare le risorse per cambiare davvero il Paese, la scommessa riformista del Partito Democratico. 

Legambiente va a aCongresso

Da venerdì a domenica Legambiente tiene a Roma il suo congresso nazionale: l’ottavo da quando siamo nati (era il 1980, ci chiamavamo Lega per l’Ambiente). Per chi scrive, questo sarà  l’ultimo congresso da dirigenti di un’associazione che abbiamo visto – forse in piccola parte fatto – crescere, e che di sicuro ci ha visto e fatto crescere, avendola entrambi incontrata da obiettori di coscienza più di vent’anni fa, e mai più lasciata.
Si parlerà , nei tre giorni del congresso, di come sta Legambiente – la soddisfazione per i soci e i circoli che continuano a crescere, la necessità  di radicarci sempre di più nei territori e di intrecciare sempre meglio le ragioni dell’ambiente con i bisogni sociali; la scelta irrinunciabile e irreversibile dell’autonomia politica -, e si parlerà  molto di come sta l’ambientalismo.
Nel documento preparatorio del congresso, abbiamo scritto che oggi l’ambientalismo è un gigante culturale ma un nano politico. I problemi legati alla qualità  ambientale, alla sostenibilità  dello sviluppo – l’inquinamento, la dissipazione delle risorse, adesso i mutamenti climatici – sono solidamente insediati nell’opinione pubblica: anche i negazionisti più incalliti faticano ormai a ridurne la portata. Però questi temi ancora non sono protagonisti nell’agenda della politica.
I motivi di tale contraddizione sono diversi, in parte nascono dall’obbiettiva difficoltà  di modificare, aggiornare idee profondamente incardinate nella storia politica, sociale, culturale del Novecento: una nozione prevalentemente economica del benessere e del progresso, la convinzione che la crescita economica, anche nella sua dimensione di prelievo e consumo delle risorse naturali, sia una prospettiva illimitata. Ma questa inerzia ha trovato finora solida sponda in un limite forte della cultura ambientalista: l’incapacità  di convincere che la riconversione ecologica che noi proponiamo sia non soltanto “giusta”, ma sia “desiderabile”, desiderabile dalle persone e dalle comunità  in carne e ossa.
Forzare questo limite è il grande problema dell’ambientalismo nel XXI secolo. Legambiente da tempo prova a forzarlo qui in Italia: investendo gran parte delle sue energie per dimostrare che tutelare l’ambiente, lottare contro l’inquinamento e contro il “global warming”, per un Paese come il nostro è un interesse strategico anche in termini economici, sociali. Qualche esempio? L’Italia importa quasi tutto il petrolio che consuma, puntare sull’efficienza energetica e sulle fonti rinnovabili (solare, eolico) serve come il pane alla nostra autonomia energetica e alla competitività  delle nostre imprese. O ancora: per essere protagonista nel mondo che si va globalizzando, l’Italia deve scommettere sulle sue risorse più tipiche, che per una gran parte – dal paesaggio, ai beni culturali, fino alla miscela di creatività , coesione sociale, capacità  d’innovare e legame con il territorio e con le sue tradizioni che è l’anima del successo del “made-in-Italy” – sono ricchezze immateriali e dunque ecologiche.
L’ambiente, insomma, come metafora del nostro futuro più promettente e più realistico. Una via, però, che fino ad oggi in troppi – nelle classi dirigenti – non riescono a vedere o non fanno abbastanza per concretizzare. Dal nostro congresso, noi ci rivolgeremo in particolare alla politica: chiedendo agli interlocutori che verranno a confrontarsi con noi – da Bertinotti a Veltroni, da Pecoraro Scanio a Rutelli e ad Alemanno – di lavorare per un’opera – urgente, indispensabile – di riaffermazione dell’interesse generale non contro ma sopra gli interessi parziali che oggi dominano la scena. Un’opera che per noi è anche la premessa perché l’ambiente – bisogno diffuso ma non “costituito” – occupi davvero e non solo nelle buone intenzioni il centro della scena politica.
L’antipolitica, noi crediamo, si combatte prima di tutto così, riannodando con il filo dell’interesse generale il rapporto quanto mai lacerato tra rappresentanti e rappresentati. A questo obiettivo devono concorrere tutti i protagonisti della vita nazionale: partiti, istituzioni, forze sociali, cittadinanza attiva. Distinti nei ruoli ma accomunati dalla consapevolezza – prendiamo in presti le parole dette anni fa da un grande europeo, Vaclav Havel – che il vero segno distintivo di una classe dirigente è nella “responsabilità  verso qualcosa di più alto della propria famiglia, del proprio partito, del proprio successo, delle proprie fortune particolari”, nella “responsabilità  di trovarsi nel luogo dove tutte le azioni lasciano un segno indelebile e dove saranno giudicate”.

Roberto Della Seta, Francesco Ferrante

IL FUTURO DELL’ITALIA A BEVAGNA E MONTEFALCO

Domani e dopodomani, tra Bevagna e Montefalco, due splendidi paesi umbri, si terrà  il meeting di Symbola – la Fondazione per le Qualità  Italiane presieduta da Ermete Realacci –  il cui titolo “Territorio e sfide globali. I talenti dell’Italia e la sua missione” restituisce bene il senso dell’iniziativa. Un’occasione per ragionare del futuro dell’Italia e della sua missione: delle principali sfide che ha davanti e di quali sono le carte che abbiamo da giocare per non restare al palo negli scenari globali.

Il nostro obiettivo deve essere quello di trovare gli strumenti adeguati per sostenere molto meglio di quanto si sia fatto sino adesso il nostro sistema economico, per gran parte fatto da piccole e medie imprese legate al territorio e che dal territorio traggono forza, vitalità  e valore aggiunto ( e da questo punto di vista la scelta di collocare quest’appuntamento in Umbria e tutt’altro che casuale).

Si tratta di agire sugli strumenti innanzitutto fiscali per incentivare  e promuovere l’innovazione tecnologica e la ricerca. In modo da premiare quelle imprese che si propongono di essere protagoniste nella modernizzazione del sistema con un particolare attenzione a quelle che investono su quelle tecnologie e in quei settori che ci aiuteranno ad affrontare la sfida dei mutamenti climatici.

La lotta contro l’aumento dell’effetto serra, infatti, è oggi una questione che riguarda da vicino sia la modernizzazione del sistema sia il territorio con le sue fragilità  e le sue risorse. Ecco allora alcuni esempi di “best practice”, di impresa innovativa e tecnologicamente avanzata capace di rispondere con efficacia a questa nuova sfida: dalla  Novamont e la sua “plastica biodegradabile” alle aziende impegnate nel settore delle rinnovabili e del risparmio energetico, a quelle che scommettono sulla  valorizzazione delle produzioni agricole di qualità . L’appuntamento dei prossimi giorni – che vedrà  l’intervento di alcuni tra i più autorevoli rappresentanti della politica insieme a numerosi imprenditori e ai rappresentanti delle istituzioni locali (da Walter Veltroni e Francesco Rutelli a Rita Lorenzetti, da Alessandro Profumo a Giuseppe Mussari) – rappresenterà  proprio un momento di confronto tra tutti coloro che a vario titolo, sono impegnati nella promozione e valorizzazione dei talenti e delle qualità  italiane. L’intento è chiaro: la due giorni di Bevagna e Montefalco vuole provare a  indicare la rotta più giusta per un Paese che deve avere il coraggio di scegliere uno sviluppo forte e duraturo perché basato sul principio che l’economia vincente è quella della qualità , della coesione sociale dell’identità  territoriale che caratterizza anche i settori della ricerca e dell’innovazione.

“Il nuovo Made in Italy. Scegliere la rotta”, è l’esemplificativo titolo dei lavori che si apriranno la mattina del venerdì al Teatro Torti di Bevagna , che affideranno le conclusioni a Rutelli. La “Campionaria dei talenti territoriali” invece, vedrà  nel pomeriggio, la partecipazione delle istituzioni e dei responsabili di numerose e interessanti realtà  produttive del paese.

Sabato 21 presso il Museo civico di Montefalco invece, si parlerà  di “Cambiamento climatico e soft economy: l’economia, la società  e la politica davanti alla sfida ambientale”, in una tavola rotonda alla quale parteciperanno rappresentanti del mondo economico, delle istituzioni e delle associazioni di categoria, insieme a Walter Veltroni ed Ermete Realacci.

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