Articoli usciti sul quotidiano “Europa”

Un destino evitabile

In questo momento la priorità  assoluta – come istituzioni, come forze politiche, come singoli cittadini – è sostenere in tutte le forme possibili l’intervento della protezione civile in soccorso delle popolazioni colpite dal terremoto. Giustissimo.
Questo non è il momento delle polemiche sulle responsabilità  per le quali spesso in Italia le conseguenze di eventi naturali o comunque imprevedibili sono ingigantite dall’inadeguatezza complessiva dei sistemi urbanistici e del patrimonio edilizio. Giusto anche questo.
Però la tragedia accaduta in Abruzzo non chiede solo un efficace ‘pronto intervento’. Parla del presente, ma parla anche del futuro del nostro paese.
Ricorda a tutti che l’Italia ha sempre fatto i conti, e sempre dovrà  farli, con un rilevante, diffuso rischio sismico, che coinvolge buona parte dei nostri territori e riguarda milioni di persone. E ricorda due altre cose importanti. La prima è che l’età  media delle case italiane è relativamente alta, e dunque è alta la quantità  di immobili costruiti senza requisiti anti- sismici.
La seconda è che la qualità  media delle costruzioni realizzate negli ultimi decenni è relativamente bassa, e in particolare nel Sud (ma non solo) una notevole percentuale delle case di recente edificazione è abusiva: cioè si tratta di edifici costruiti senza nessun controllo né sulle caratteristiche statiche del progetto né sulla localizzazione. Queste due circostanze significano che centinaia di migliaia di italiani vivono in abitazioni totalmente insicure dal punto di vista anti-sismico.
Si è discusso molto nelle ultime settimane di piano-casa, termine decisamente improprio con cui viene indicato il progetto del governo di dare sostegno all’edilizia penalizzata dalla crisi liberalizzando la possibilità  allargare ville, villette, palazzine e di demolire e ricostruire palazzi o addirittura interi quartieri.
Mai come in questo caso, l’idea per come verrà  dettagliata può dare frutti benefici o avvelenati, cioè contribuire a rendere più moderno, efficiente, sicuro il nostro patrimonio edilizio, o invece portare nuove e più gravi ferite al territorio, al paesaggio e alla stessa sicurezza abitativa.
Nei prossimi giorni il piano edilizia darà  luogo, così pare, a un decreto legge del governo che ne fisserà  i criteri generali, e affiderà  alle regioni, come da Costituzione, il compito di trasformare tali indirizzi in norme specifiche e attuative.
Se nel decreto e poi nelle leggi regionali ci sarà  scritto che per accedere a bonus volumetrici e altri incentivi bisognerà  certificare la sicurezza anti-sismica dell’immobile da ampliare o di quello ricostruito – oltre che garantire la buona qualità  energetica di ristrutturazioni e ricostruzioni -, allora davvero avremo fatto un grande passo avanti per convivere al meglio col nostro ‘destino’ di paese a rischio di terremoti.

ROBERTO DELLA SETA FRANCESCO FERRANTE

Il piano casa ripudia Berlusconia

Berlusconi si fa bello dell’accordo fra Regioni e Governo raggiunto ieri sul cosiddetto piano casa. Ma la verità  è che quell’accordo in larga parte ha smentito clamorosamente gli annunci in cui si produsse lo stesso Berlusconi quando iniziò a parlare con i consueti toni trionfalistici del provvedimento.

Mentre la prima bozza del Governo obbediva all’ideologia berlusconiana del superamento di qualsiasi vincolo – più o meno giustificato – e prefigurava un pericolosissimo condono preventivo che avrebbe causato scempi in un territorio, che da una parte custodisce cose preziose e dall’altra ha già  dovuto sopportare gravi devastazioni, l’accordo di ieri si muove nel solco della riqualificazione energetica dell’edilizia che era al centro anche della proposta del PD e delle richieste della parte più avanzata di quel settore industriale e che può davvero costituire un volano di sviluppo, una parte di quella manovra anticiclica che la crisi reclamerebbe e che questo nostro Governo inane si rifiuta di mettere in campo.

Intanto va rivendicato alla reazione dell’opposizione e delle Regioni l’aver sventato il blitz che mirava a espropriare le Regioni stesse delle loro prerogative costituzionali.

Nel merito del provvedimento, per Berlusconi si sarebbe potuto operare qualsiasi ampliamento anche in deroga ai Piani Regolatori, e questa deroga le Regioni l’hanno cancellata; Berlusconi avrebbe voluto innescare una compravendita dei diritti di ampliamento, anch’essa sparita dall’accordo finale; Berlusconi non avrebbe voluto porre alcun limite territoriale agli interventi edificatori e invece l’accordo prevede che le Regioni possano escludere zone vincolate, quali ad esempio le zone B e C dei parchi (nelle zone A resta in vigore il vincolo di inedificabilità  assoluta).

Ma il punto forse più importante è che la possibilità  di aumento del 35% delle volumetrie in caso di demolizione e ricostruzione viene  vincolato a interventi di riqualificazione energetica, che uscendo dalla genericità  dell'”auspicio” come era nella formulazione berlusconiana, può diventare il vero volano di sviluppo appunto. Ovviamente come ogni accordo a maglie larghe, la sua concreta applicazione da parte delle Regioni andrà  attentamente sorvegliata, per evitare che inevitabili vaghezze dell’accordo siano interpretate da Governatori più spregiudicati per un via libera a scelte pericolose per il governo del territorio. Ma intanto un punto lo abbiamo segnato contro questa destra irriducibile che ritiene le questioni ambientali solo un impaccio e mai un’occasione anche economica. D’altra parte se non si tiene conto di questa “ideologica” contrarietà  non ci si potrebbe spiegare l’assurda mozione sull’ambiente della destra al Senato dove testualmente si definisce “moderato” il riscaldamento terrestre, si mette in dubbio l’origine antropica dei mutamenti climatici e si conclude che se pure ci fosse un qualche innalzamento della temperatura questo sarebbe da salutare positivamente per i suoi benefici (sic!). Ebbene sì, Berlusconi, unico leader al mondo, si presenta ai vertici internazionali con il biglietto da visita della sua maggioranza negazionista: chissà  che ne pensa quel Presidente degli Usa che gli ha appena chiesto di organizzare un vertice su clima ed energia in occasione del G8 della Maddalena?

La questione ambientale si conferma una di quelle su cui maggiormente si misura la distanza fa noi, il Partito Democratico, e questa destra. E su questo tema, innegabilmente, siamo noi avanti, siamo noi in sintonia con i più innovativi governi del mondo (alcuni persino di centrodestra) e sono loro, i berluscones, che arrancano in difesa e in difficoltà . Ma per trasformare questo nostro vantaggio in consenso si deve anche formare al nostro interno una classe dirigente sul territorio in grado di cogliere questa opportunità , ed è questo uno degli obiettivi più importanti della Scuola di Formazione sull’ambiente del Partito Democratico che si inaugura proprio oggi ad Amalfi.

La svolta verde tocca pure noi

Anche per l’ambiente e per l’ambientalismo, Barack Obama sembra oggi sinonimo di svolta, di rivoluzione. Il suo piano di sgravi e investimenti “anti-crisi” mette la sostenibilità  ambientale al centro dello sforzo per sostenere il lavoro, le famiglie, le imprese: “Raddoppieremo la nostra capacità  produttiva di energia pulita – aveva detto il neo-presidente nel suo primo discorso del sabato alla nazione -, costruiremo una rete elettrica di quasi 5 mila chilometri che sarà  alimentata da queste nuove fonti, risparmieremo due miliardi all’anno rendendo il 75% degli edifici federali più efficienti dal punto di vista energetico, le famiglie pagheranno bollette più leggere risparmiando in media 350 dollari all’anno”. E ieri puntualmente ha firmato i relativi atti di Governo, aggiungendoci anche i provvedimenti per la riduzione dei consumi e delle emissioni delle automobili. Per chi da anni si batte in politica con questa idea in testa, non era possibile non emozionarsi nel sentire gli argomenti utilizzati dal Presidente degli Stati Uniti d’America per spiegare questa svolta di 180 gradi rispetto al suo predecessore. Una rivoluzione.
L’idea che l’ambiente non solo non sia nemico dell’economia, del benessere, ma che anzi in questi mesi di dura recessione possa diventare uno dei principali trampolini verso la ripresa, mette in discussione gli opposti pregiudizi di chi pensa che l’ecologia sia un lusso che soprattutto in tempi di crisi economica non ci si può permettere (refrain molto utilizzato in questo nostro Paese), e di chi nel mondo ecologista teorizza una triste decrescita economica come solo vero antidoto alla crisi ecologica.
E’ una svolta importante, il cui merito – va detto per onestà  intellettuale – Obama condivide con buona parte dell’Europa. Prim’ancora che si votasse negli Stati Uniti, infatti, l’Europa con Barroso, con Sarkozy, con Brown, con la Merkel, con Zapatero, ha resistito a una tentazione che pure vi è stata: rispondere allo “tsunami” economico-finanziario arrivato da oltreoceano seppellendo il pacchetto 20/20/20, cioè le misure per ridurre del 20% al 2020 le emissioni che alimentano i mutamenti climatici, portare al 20% la quota delle rinnovabili sulla produzione totale di energia, migliorare del 20% l’efficienza energetica. L’Europa ha scelto di procedere su questa strada nonostante lo scenario economico così radicalmente e negativamente nuovo, e molti leader europei hanno più volte sottolineato che dalla crisi economica si può uscire prima e meglio se l’ambiente è uno degli ingredienti base delle politiche anti-cicliche. E non a caso proprio in questi giorni la Commissione ha voluto ricordare che se a Copenaghen si riesce a raggiungere un accordo globale (lo stesso obiettivo su cui ha esplicitamente detto di voler lavorare Obama), il target per l’Unione Europea di riduzione delle emissioni di CO2 al 2020 salirà  automaticamente sino al 30%. (Ahi, che dolore per Berlusconi e i suoi sodali!)
Insomma, vi è oggi nelle classi dirigenti dei Paesi industrializzati una larga consapevolezza dell’utilità , meglio della necessità  di un “new deal ecologico” all’insegna della coppia Keynes più ambiente  E’ così negli Usa, in Germania, nel Regno Unito, in Francia. Non è così in Italia, dove la destra al governo (e con lei, dispiace dirlo, l’attuale presidenza di Confindustria) guarda all’ambiente con occhi vecchi di almeno due o tre decenni. Il governo e la maggioranza hanno cercato, per fortuna senza successo, di boicottare il “pacchetto clima”. Hanno persino provato ad azzerare gli ecoincentivi alle ristrutturazioni edilizie introdotti dal governo Prodi, tornando in extremis sui loro passi davanti alla protesta compatta dell’opposizione e di quasi tutte le forze sociali. 
Sul rapporto virtuoso che vi può essere tra ambiente ed economia, la destra italiana è fuori dallo spirito dei tempi. Ciò offre al Pd una grande occasione e lo carica, al tempo stesso, di una grande responsabilità . Se non vogliamo limitarci ad entusiasmarci e tifare da spettatori lontani per la svolta “obamiana” (attività  che alla lunga può renderci persino un po’ patetici), è giunto il momento di fondare su tale intuizione uno degli argomenti centrali del nostro discorso pubblico e anche della nostra polemica politica, e poi dimostrare concretamente , con atti di governo, nella metà  d’Italia dove governiamo città , province, regioni, che per noi l’ambiente in tempi di crisi non è un lusso ma è un elemento decisivo dello sforzo per limitare i costi economici e sociali della crisi in atto.
“Un new deal ecologico” è il titolo di uno dei primi appuntamenti – organizzato dall’Associazione degli Ecologisti Democratici – in preparazione della conferenza programmatica del Pd, che si terrà  sabato prossimo 31 gennaio a Roma e sarà  concluso da Walter Veltroni. Quel giorno e poi tutti i giorni nei mesi che verranno, il Partito Democratico dovrà  impegnarsi per fare di questa sfida una delle fondamenta – culturali, programmatiche, politiche – della sua azione politica. Solo così, ci si passi l’orrendo gioco di parole, non sembreremo troppo pallidi al cospetto di Obama.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante  
 

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