La sfida del Pd resta al palo
Onore a Sandro Bondi, che si è detto deluso per l’arretramento del Pdl rispetto alle elezioni politiche del 2008 e alle europee dello scorso anno. Se si adotta lo stesso metro, onesto e realistico, appare davvero inspiegabile parlare, come ha fatto Bersani, di “inversione di tendenza” o addirittura dichiararsi soddisfatti del risultato del Pd e del centrosinistra.
Inversione di tendenza? Il Pd è attorno al 26%, dunque al suo minimo e ha perso un milione di voti anche rispetto alle ultime europee. Siamo il primo partito solo nelle regioni “rosse”, mentre in Lombardia e in Veneto siamo terzi dietro Pdl e Lega. Quanto al centrosinistra, ha tenuto bene nell’Italia “appenninica”, dove le sue posizioni erano più solide e tradizionali. L’unico vero successo quello in Puglia, il cui merito va per metà alla popolarità e alla tenacia di Nichi Vendola, che non è un uomo del Pd e che una parte del Pd ha fatto di tutto per non ricandidare, e per metà a Raffaele Fitto, che rifiutando l’appoggio del Pdl alla Poli Bortone ci ha consentito di vincere.
Bisogna guardare in faccia la realtà , non raccontare e raccontarsi favole consolatorie. In un quadro che più favorevole non si poteva – elezioni di mezzo termine tradizionalmente sfavorevoli a chi governa, crisi economica in atto, prevedibile aumento dell’astensionismo che per opinione generale avrebbe penalizzato la destra, pasticci del Pdl sulle liste – il centrosinistra e il Pd escono gravemente sconfitti da questa tornata elettorale. Le Regioni più popolose sono tutte in mano al centrodestra, nel nord comanda la Lega e nel sud , Puglia e Basilicata a parte, il Pdl; e dato non meno rilevante, il centrosinistra è diventato minoranza nella Conferenza Stato Regioni, che gioca un ruolo decisivo su molte materie di governo.
Il Pd perde colpi, e non va meglio per i nostri esangui alleati di sinistra né per l’Udc che galleggia. Insomma non è proprio questione di alleanze, piuttosto vengono al pettine nodi irrisolti, irrisolti soprattutto per noi, di questi vent’anni di transizione italiana: un ventennio nel quale le uniche novità nell’offerta politica apprezzate dai cittadini si sono manifestate a destra – la Lega, Forza Italia, la stessa An finiana -, mentre nell’altro campo, nel nostro campo, le sole novità sono state nei nomi nuovi dati a cose vecchie. La stessa Idv, che riesce a intercettare la parte di elettorato più sensibile alla questione morale, nei suoi gruppi dirigenti in realtà proviene in larghissima parte dalle seconde file della prima repubblica. E a proposito di questione morale: che titoli abbiamo per farne una nostra bandiera, come pretendiamo e come chiede la gran parte dei nostri elettori, se dove governiamo, in particolare nel Sud, mettiamo in mostra comportamenti politici che oscillano tra il più vecchio clientelismo e rapporti non proprio lineari con l’affarismo economico?
La novità vera nel centrosinistra doveva e poteva essere il Pd, ma finora la sfida è rimasta al palo: anche il Partito democratico è stato fino a qui più che altro un nome nuovo dato a cose vecchie. Allora non ci sono scorciatoie: bisogna utilizzare i prossimi tre anni senza appuntamenti elettorali (paradossalmente augurandoci che le divisioni interne al centrodestra non esplodano prima) per ripartire dall’atto di nascita del Pd, dall’ambizione di offrire al Paese parole, idee, facce capaci di capirlo, il Paese; capaci di parlargli non soltanto di Minzolini o di quanto è cattivo Berlusconi o genericamente di lavoro, ma di proporre risposte credibili, concrete alle sue attese e ai suoi bisogni. Un solo esempio: possibile che con un mercato del lavoro sempre più precario, e con noi che ci riempiamo la bocca tutti i giorni di lotta al precariato, quegli stessi giovani precari continuino a votare imperterriti per Berlusconi e i suoi alleati? Tutti vittime del “Grande Fratello”, o non siamo piuttosto noi che non sappiamo vederne i problemi, le attese, le aspirazioni?
Per il Pd i risultati di queste elezioni sono come per i corridori la campana dell’ultimo giro di pista: o cambiamo passo per riacciuffare il nostro avversario, utilizzando le scarpe nuove che ci eravamo scelti nell’ottobre 2007, oppure questa esperienza politica finirà , lasciando l’Italia con i suoi grandi problemi e senza un’autentica speranza riformista.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE