Articoli usciti sul quotidiano “Europa”

Il Pd vince senza alchimie

Il centrosinistra ha vinto le elezioni per l’evidente ragione che il centrodestra le ha perse: ragione banale ma più che sufficiente in un sistema come il nostro che malgrado qualche crepa, e  i desiderata di qualche nostalgico della prima repubblica, resta per ora e per fortuna saldamente bipolare. Ma noi del Pd dobbiamo guardare  con attenzione dentro questa vittoria, perché essa contiene, accanto a più di un motivo di rinnovata speranza, anche qualche buona e difficile lezione da mettere a frutto per il futuro.
Vince in casa il centrosinistra, dove può vantare una solida e positiva tradizione amministrativa: da Torino a Siena, da Salerno a Ravenna, da Arezzo alla stessa Bologna. Ma soprattutto comincia a vincere o per lo meno torna in corsa fuori casa, in territori finora “nemici”: non solo Milano ma Cagliari, dove la sinistra non ha mai governato, fino a molte province e città  padane – Vercelli, Pavia, Novara, Varese – nelle quali strappiamo un ballottaggio del tutto insperato.
Tutto bene allora? Più di un osservatore sostiene che no, non va tutto bene per il centrosinistra e in particolare non va benissimo per il Pd. Che dopo questo voto sarebbe sempre più ostaggio della sinistra radicale e dei suoi candidati vincenti – Pisapia, il vendoliano Zedda a Cagliari, De Magistris a Napoli – e sempre più proiettato, dunque, in una prospettiva neo-frontista che in caso di elezioni politiche lo condannerebbe di nuovo alla sconfitta e che comunque lo allontana dalla possibilità  di dare forma a una vera, convincente proposta riformista.
Questa idea, questa lettura non ci convincono. Non ha veramente senso inchiodare i risultati di Milano, di Cagliari, di Napoli dentro lo schema abusato di un centrosinistra e di un Pd prigionieri degli eredi di Rifondazione Comunista o peggio, con De Magistris, del più deteriore giustizialismo. La forza di Giuliano Pisapia, di Massimo Zedda, anche la forza di Luigi De Magistris, come su un piano nazionale la forza di Nichi Vendola, non vengono dall’avere alle spalle piccoli partiti neo-comunisti o tardo-giustizialisti, e la prova è nel risultato elettorale abbastanza deludente sia di Sel che dell’Italia dei Valori.  Il consenso che hanno riscosso è piuttosto figlio della voglia dei nostri stessi elettori di rinfrescare l’immagine, il discorso, anche il volto del centrosinistra, di mettere al centro della proposta di alternativa a Berlusconi parole nuove, misurate sui bisogni e sulle attese dell’Italia di oggi: le parole della buona politica, che vuol dire fare pulizia anche a casa nostra; le parole della nuova economia che crea sviluppo puntando sulla qualità  e sull’ambiente. E d’altra parte, il Pd arranca o addirittura frana – come a Napoli, come in gran parte della Calabria – dove si è mostrato più incapace di un vero rinnovamento.
In questo senso, è vero, il Partito democratico deve farsi più radicale, più coerente con le proprie ambizioni di rappresentare la voglia di cambiamento che cresce tra gli italiani. E deve smettere d’inseguire le alchimie politiciste di chi ci vorrebbe alleati con il cosiddetto “terzo polo”, di cui peraltro queste elezioni mostrano fino in fondo l’inconsistenza.
Se vogliamo che tocchi a noi democratici prima e più che ad altri incarnare la rivincita, oggi davvero possibile, contro la destra, se non vogliamo condannarci al ruolo un po’ frustrante di gregari di lusso, di portatori d’acqua del Pisapia di turno, o dare fiato a fenomeni di rifiuto della politica come sono il “grillismo”, questo dobbiamo fare: essere concretamente, nelle cose che diciamo e in quelle che facciamo, il partito dell’alternativa a Berlusconi.
ROBERTO DELLA SETA                                                                                                                                     FRANCESCO FERRANTE
 

L’Europa è nuda

Quando la realtà  si vendica della demagogia è sempre un passo avanti, una ventata d’igiene culturale. Così in queste settimane, con l’arrivo sulle nostre coste di un flusso – per ora contenuto nei numeri, ma vistoso – di cittadini provenienti dal Nord Africa in ebollizione. Questo semplice dato di realtà  ha sbriciolato in un attimo la retorica leghista sullo stop senza se e senza ma all’immigrazione “clandestina”, costringendo in particolare il Ministro dell’Interno a rovesciare in poche ore le argomentazioni propinate per anni. Dopo aver soffiato sul fuoco dell’emergenza Lampedusa, lasciando che sull’isola la situazione scoppiasse per rendere plausibile la bufala di un’Italia sotto invasione, ora improvvisamente Maroni cambia faccia: niente più distinzione tra “profughi” e “clandestini”, un totem leghista, perché sennò bisognerebbe chiedere di aprire 20 mila procedimenti giudiziari per il reato di immigrazione clandestina e cadrebbe la possibilità  di far circolare nell’area Shengen le migliaia di migranti cui viene rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo; non più l’antieuropeismo esibito quando Bruxelles ci bacchettava sui respingimenti in mare o sulla schedatura dei Rom, anzi Maroni davanti al Parlamento si trasforma nell’avatar di Spinelli teorizzando che l’Europa o è una e compatta oppure non ha futuro. Salvo poi rimettere i panni dell’estremismo leghista ed evocare per l’Italia, addirittura, l’uscita dall’Europa, “che salva le banche ma lascia gli italiani in balìa dell’orda barbara”. 

Che spettacolo, davvero! Intanto, oltre le giravolte e le sparate, resta la vergogna nazionale per come abbiamo accolto, si fa per dire, poche migliaia di persone disperate. E resta la speranza che la sinistra, qualche volta tentata di rincorrere la Lega sul terreno della demagogia anti-immigrati, capisca che su quella strada non arriva da nessuna parte: non conquista nuovi consensi “moderati”, perché chi chiede la faccia feroce contro gli immigrati preferisce l’originale dei leghisti alla fotocopia sbiadita di qualche sindaco Pd che dice le stesse cose solo con un linguaggio meno aspro; e rischia di perdere l’anima, e con l’anima un bel po’ dei suoi elettori tradizionali. 

Ma soprattutto, restano domande impegnative su cosa fare d’ora in avanti. La vicenda dei boat-people che partono dalle coste del Nord Africa diretti in Europa è un dramma, da qualsiasi lato lo si guardi: per le centinaia di vittime sepolte in mare, per la disperazione sui volti e nel cuore di chi riesce a sbarcare sano e salvo, per il business orrendo di chi guadagna sul commercio di carne umana. Ed è un dramma che rivela quanto l’Europa, oggi, sia un “re nudo”. Che balbetta di fronte ad un grande evento epocale com’è il risveglio civile del mondo arabo, immiserendo se stessa in guerricciole diplomatiche di basso profilo in cui Roma fa una pessima figura ma Parigi o Berlino o Londra non le sono da meno. Che spera di cavarsela riproponendo criteri di analisi e d’intervento – come la distinzione tra profughi di guerra e migranti economici – del tutto insensati: per cui sarebbe mosso da una condizione di urgenza umanitaria solo chi scappa da una guerra civile, ma non chi fugge via da Paesi dove oggi non c’è governo, non c’è lavoro, spesso non c’è pane. 

L’Europa è nuda perché incapace di guardare in faccia la realtà . La costa nord e quella sud del Mediterraneo sono troppo vicine in miglia marine per essere così lontane quanto a ricchezza e benessere: troppo vicine per pensare di arrestare movimenti migratori imponenti e strutturali, troppo vicine per non vedere che questi movimenti continueranno finché la distanza socio-economica tra le due sponde del “mare nostrum” resterà  abissale. 

O meglio un modo spiccio per fermare i migranti c’è, e proprio l’Italia l’ha sperimentato con successo: è quello di affidarsi a regimi polizieschi come la Libia di Gheddafi, che li sistemava nei suoi campi di concentramento. 

Ma se nel Nord Africa vince la democrazia, anche una democrazia parziale e imperfetta, allora rimarrà  solo un’altra via d’uscita: un vero “Piano Marshall” per fare in modo che tra le rive del Mediterraneo la distanza socio-economica si accorci rapidamente, che i paesi del Nord Africa si avvicinino economicamente ai nostri come vicinissimi ci sono già  quanto a geografia. 

Qui si rivela la pochezza europea, qui si rivela l’inadeguatezza ancora più drammatica del Governo italiano; che mentre inseguiva Bossi nell’idea che l’immigrazione è il male assoluto, al tempo stesso ha portato ai minimi storici i contributi per la cooperazione allo sviluppo. Per aiutare i Paesi poveri a svilupparsi, l’Italia ha impegnato nel 2010 lo 0,15% del Pil: che vuol dire il livello più basso da decenni, e vuol dire meno in termini assoluti di quanto stanzia la Danimarca che ha un decimo della nostra popolazione. Siamo lontanissimi dall’obiettivo europeo dello 0,51% e siamo l’unico tra i grandi Paesi dell’Unione dove il trend degli aiuti allo sviluppo è in discesa: basti dire che per sostenere la crescita dei Paesi africani spendiamo molto meno di quello che abbiamo dato a Gheddafi come compensazione per il suo lavoro sporco di “gauleiter” a guardia dei migranti. 

Invece proprio noi, “porta” principale dell’Europa per chi fugge dall’Africa, per garantire davvero l’interesse nazionale di fronte alle dinamiche inarrestabili della globalizzazione, dovremmo essere i più prodighi negli aiuti allo sviluppo: sapendo che non si tratta di beneficenza, ma di una polizza di assicurazione mille volte più pragmatica delle grida demenziali, qualche volta criminali, di chi vorrebbe i migranti “fà¶ra da i ball”. 

 

ROBERTO DELLA SETA 

FRANCESCO FERRANTE 

A Lampedusa sbarca Silvio La Qualunque

A Lampedusa abbiamo passato due giorni. Abbiamo toccato con mano il dramma dei migranti, costretti a dormire ammassati in centri di accoglienza strapieni. Abbiamo visto la giusta esasperazione dei lampedusani, esacerbati per una situazione ormai fuori controllo che finisce per incenerire ogni anelito d’ospitalità . Ma abbiamo visto soprattutto lo sbarco di un uomo che neanche di fronte a una tragedia immane come questa rinuncia a vendere sogni: Silvio Berlusconi. O meglio: Silvio La Qualunque.
Il premier ha detto che nell’isola manca colore e quindi farà  ridipingere le case come a Portofino, che manca il verde e dunque la rimboschirà , che costruirà  ospedali e scuole, che ne farà  una zona franca nonché a burocrazia zero e inoltre che convincerà  i tunisini a tornare a casa.
Poi ha annunciato di aver comprato, pare via internet, una villa a Lampedusa e quindi di essere un po’ lampedusano anche lui. Per finire con l’annuncio a effetto: l’isola sarà  completamente svuotata entro poche ore.
Che dire? Speriamo davvero che dopo quelli sui rifiuti a Napoli e sul terremoto a L’Aquila questo sia l’ultimo comizio show del premier fatto sulla pelle dei cittadini, e soprattutto che non finisca male come nei due precedenti citati.
Ieri abbiamo visitato il centro di accoglienza di contrada Imbriacola, dove potrebbero essere ospitate in condizioni ottimali circa seicento persone, ma che oggi ne accoglie più di 2.500. Il risultato è davvero disperante: nelle stanze di venticinque metri quadrati adibite a dormitori vivono trenta-trentacinque persone, e dunque ciascuna dispone di meno di un metro quadrato a testa, in una situazione disumana nettamente al di sotto di qualsiasi carcere italiano. Alla stazione marittima la situazione non è migliore. Abbiamo incontrato migliaia di persone in attesa, costrette a dividersi solo tre bagni chimici, con conseguenze igieniche che sono facilmente immaginabili.
Ai volontari non si può rimproverare nulla. Si stanno spendendo senza risparmio per assistere gli immigrati in una situazione di difficoltà  estrema. Quello che fa davvero rabbia è la sensazione di un’emergenza evitabile grazie a un piano di smistamenti e trasferimenti rapido. Basta ricordare che durante la guerra in Kosovo, in Germania arrivarono ben 350 mila kosovari, tutti poi assorbiti ordinatamente.
Invece qui, con numeri infinitamente più piccoli, tutto avviene nella massima lentezza, creando uno stato d’emergenza permanente. Come appare evidente, questa situazione è stata creata ad arte per alimentare un ingiustificato allarme nell’opinione pubblica, a spese degli immigrati e dei lampedusani. àˆ infatti lampante l’intento criminale del governo di far “scoppiare” l’isola, per poi prendersi il merito di una prima evacuazione.
Tuttavia, in questo modo si tampona l’emorragia ma non si ricuce la ferita. Resta il problema di dare un’ospitalità  dignitosa ai migranti che da Lampedusa verranno smistati in giro per l’Italia, smettendola di usare un’emergenza umanitaria gestibile per miserabili fini politici della destra.
Anche perché gli sbarchi difficilmente si fermeranno, e il rischio vero è che anche stavolta vada a finire come tristemente successo in altri due finti miracoli del premier, Napoli e L’Aquila.


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