Se somigliamo agli altri
L’antipolitica esiste dappertutto ma in Italia è una vera marea montante, ben più poderosa di quanto riescano a misurare gli indicatori elettorali, dall’aumento dell’astensionismo al voto per le liste dei “grillini”.
E’ una marea montante ed è una strana “bestia”. Le sue parole d’ordine, i suoi linguaggi sono spesso detestabili, segnati dal peggiore qualunquismo.
Ma la premessa da cui nasce, un giudizio largamente e duramente negativo sulla moralità , l’attenzione all’interesse pubblico, dei politici come “categoria”, non è infondato. Così, circostanze che in linea astratta non dovrebbero destare scandalo – gli stipendi dei parlamentari italiani, per esempio, sono in linea con la media europea – da noi diventano colpe, e colpe gravi, per il totale discredito che circonda i partiti e chi dà loro volto e voce.
Il problema è che l’antipolitica italiana dei “rappresentati” trova alimento e anche obiettiva giustificazione in quell’altra antipolitica ancora più devastante – anch’essa per diffusione e intensità un’anomalia italiana:
un’infezione che demolisce il senso stesso della politica come cura del bene comune – che traspare dall’agire di troppi “rappresentanti”, nel quale le convenienze personali, di gruppo, di partito prevalgono sulla considerazione dell’interesse generale dando luogo a un ampio spettro di comportamenti, appunto, “antipolitici”: dalla corruzione per arricchirsi personalmente, a quella per arricchire il partito, all’abuso talvolta esibito dei simboli di stato del potere (l’auto blu, la scorta, i voli di stato…), alla difesa di prerogative d’eccezione che sono evidenti privilegi quali il generosissimo assegno vitalizio a tutti i parlamentari con almeno cinque anni di legislatura alle spalle.
Sebbene questo marciume si presenti, nel centrodestra, in forme incommensurabilmente più acute e patologiche (leggi ad personam, acquisto di parlamentari, cricche varie, i palazzi berlusconiani adibiti a bordelli), noi pure, noi Pd e noi centrosinistra, siamo coinvolti in una sorta di “chiamata di correo”; e noi pure, questo è evidente, siamo considerati da molti – anche da molti tra i nostri elettori – parte del problema e non della soluzione.
Insomma l’attuale “questione morale” interroga anche noi. Così la pensa la maggioranza degli italiani, così testimoniano numerose vicende più o meno
recenti: dalla Sicilia a Napoli, da Milano all’Umbria. Troppo spesso la nostra politica somiglia terribilmente a quella “macchina di potere e di clientela” descritta da Enrico Berlinguer esattamente trent’anni fa. Troppo spesso, al di là degli specifici contenuti e degli esiti naturalmente aperti delle inchieste giudiziarie in corso, anche tra di noi si manifesta un’abitudine consolidata a coltivare rapporti opachi con gli interessi economici; rapporti, va detto, che spesso diventano la vera base di decisioni politiche e amministrative in molteplici campi: l’urbanistica, le infrastrutture, gli appalti…
Riconoscere questo problema e soprattutto impegnarsi a testa bassa per affrontarlo, è il modo più saggio ed efficace per difendere l’onore del Pd, nella consapevolezza che quanto più la politica immiserisce la propria missione nell’amministrazione del potere a fini di vantaggio privato o lobbistico, tanto più essa perde di vista i bisogni, gli interessi, le aspirazioni più larghi, più generali, e tanto più contribuisce ad alimentare un’analoga caduta dell’etica in tutta la società .
Allora, se si vuole che il Partito democratico sia una vera, concreta, creduta speranza di cambiamento e miglioramento per gli italiani, occorre che chi fa politica nel Pd non solo sia garanzia assoluta di una lotta senza quartiere all’illegalità , ma testimoni una passione ideale, un rigore etico inattaccabili. Fuori da questa via, resta solo il fallimento della stessa premessa di rinnovamento da cui siamo nati, e resta il rischio più che probabile che i nostri elettori attuali e potenziali si ritrovino a confondere noi come tutti in un unico, inappellabile giudizio di condanna.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE