L’antipatia suscitata da Matteo Renzi tra i politici del Pd è direttamente proporzionale alla sua popolarità tra gli elettori, del centrosinistra e oltre. Più questa cresce e più aumenta anche l’altra. Così, l’incontro della Leopolda ha segnato sia la punta massima di interesse degli italiani per la novità rappresentata da Renzi, sia l’apice della sua cattiva fama dentro il gruppo dirigente democratico. La ragione di questo “fuoco amico” sempre più battente sul Sindaco di Firenze non sembra dipendere dalle cose che Renzi dice, tant’è che quasi mai le contestazioni si riferiscono a qualche sua specifica idea o proposta .
No, Renzi indigna e dispiace nel suo, nel nostro partito non per quello che vuole ma per quello che è. Per la prima volta, infatti, nel centrosinistra italiano emerge una possibilità di leadership che, per anagrafe e per biografia, non appartiene né alla storia del Pci/Pds/Ds né, peraltro, a quella della Dc, che Renzi non ha fatto in tempo a incontrare.
Questa diffusa allergia del Pd verso Renzi rivela la profonda, finora irrisolta contraddizione tra l’ambizione dichiarata da cui è nato il Partito democratico – dare finalmente all’Italia un partito di centrosinistra post-novecentesco, libero dalla mentalità “cattocomunista” che ha dominato per mezzo secolo la sinistra italiana – e l’essenza del 95% dei dirigenti del Pd, che di quella mentalità sono fedele e spesso autorevole espressione. Renzi, insomma, incarna il Pd come ha sempre detto di voler essere, e proprio questo lo rende un alieno per buona parte della nomenclatura democratica.
Come uscirne? Diranno i prossimi mesi se Renzi diventerà un possibile leader del Pd e del centrosinistra. Ma un fatto è già sicuro: il suo linguaggio diretto, la sua capacità di politicizzare temi oggi popolarissimi tra i cittadini ma quasi ignorati dalla classe dirigente – dalla rabbia dei giovani verso l’attuale welfare che li esclude da diritti e tutele, all’ambiente come motore prioritario di sviluppo, fino all’insofferenza dilagante nei confronti dei privilegi della “casta” politica e delle altre piccole e grandi corporazioni – servirebbero come il pane a un Pd che voglia veramente entrare nel cuore degli italiani.
Certo, il discorso pubblico di Renzi contiene diversi “lati oscuri”, primo fra tutti la tendenza a tradurre il no, sacrosanto, ai tanti conservatorismi della sinistra italiana, nell’adesione a posizioni e analisi “tardo-liberiste”, da Marchionne in giù, che l’attuale, convulso passaggio d’epoca mette altrettanto in mora (tendenza che oltretutto rischia di alienargli irrimediabilmente il consenso della parte più dinamica e vitale dell’elettorato di sinistra). Ma detto questo, e aggiunto che la sinistra tradizionale, avendo governato nel corso degli ultimi vent’anni tutti i grandi Paesi occidentali (Italia compresa) non è proprio credibilissima ora che s’indigna contro gli eccessi di liberismo e lo strapotere dell’economia finanziaria, resta che Renzi è ossigeno puro per il presente e il futuro del nostro centrosinistra. Qualcuno ha scritto che il suo sarebbe “populismo di centro”, a noi pare piuttosto che il “popolo” della Leopolda, di centro o no, sia al momento l’immagine più fedele di un Pd “rivoluzionario”, capace di guidare la voglia di futuro e di cambiamento che sale tra gli italiani.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE