intervista ad Alessandro Farulli di greenreport.it
Quest’anno in campagna elettorale vanno di gran moda le agende. Ma anche i “piani”, i più significativi dei quali sono quelli di Confindustria e della Cgil. Che giudizio si è fatto delle due proposte?
«A me sembra che la campagna elettorale sia complessivamente assai deludente se la si guarda con gli occhiali di chi vorrebbe leggere un’idea di futuro possibile e desiderabile. Siamo ancora, da una parte, alle stesse ricette che Berlusconi ci propone da vent’anni e che hanno devastato lo stesso tessuto culturale e sociale di questo Paese, oltre a portarlo a un passo dal baratro economico, ma dall’altra – mi consentirete di trascurare la presunta novità “montana” che si è rapidamente rivelata un raggruppamento di “vecchie glorie” democristiane, in parte bigotte, e di ceto presunto intellettuale privo di consenso reale – il centro sinistra sembra oscillare tra trito antiberlusconismo e difesa di antiche conquiste. Inoltre, si sa, la sacrosanta critica a un certo modo di far politica alimenta populismi sterili o addirittura pericolosi. “Agende” e “piani” non fanno eccezione. Anche quelli dove ci sono significativi capitoli “ambientali”, penso a quello della CGIL per esempio, mancano di quell’idea di radicale cambiamento “in avanti” che sarebbe urgente e necessaria. Non chiedo la luna: basterebbe copiare ad esempio l’approccio del Presidente Obama nel suo recente discorso di inaugurazione del secondo mandato. Forte senso della comunità nazionale, consapevolezza del proprio ruolo internazionale, espansione dei diritti civili, lotta ai cambiamenti climatici».
Quello della Cgil a nostro avviso ha la pecca di non considerare, come invece si dovrebbe assolutamente da un punto di vista di sostenibilità ambientale e sociale, il governo dei flussi di materia. Perché secondo lei ancora non è maturo questo aspetto che è di pari importanza almeno a quello energetico?
«Perché manca nella politica italiana l’assunzione completa dell’orizzonte della green economy, nel suo complesso, come strumento efficace per rilanciare l’economia e costruire allo stesso tempo un modello di sviluppo stabile. Allora l’energia sì, perché argomento “tradizionale” e su cui si esercitano peraltro i grandi poteri (delle fossili), flusso di materia no perché forse non si capisce nemmeno di cosa si sta parlando e sicuramente non lo si ritiene funzionale alla nuova politica industriale che sarebbe indispensabile, invece, per un sistema economico che volesse mantenere, almeno in parte, la sua vocazione manifatturiera. Noi eravamo riusciti a inserire un articolo nella revisione del 152 che avrebbe privilegiato concretamente il recupero di materia rispetto a quello energetico (oggi l’unico incentivato). Sarebbe stata una rivoluzione. Purtroppo la fine anticipata di qualche settimana della legislatura e la lentezza della Camera dei Deputati ci ha impedito di approvarlo in via definitiva. Peccato»
Torniamo sul nervo scoperto degli ecologisti fuori dal Pd, che la vede parte in causa. Stella Bianchi a greenreport.it si è detta dispiaciuta della cosa, rivendicando però il fatto che nel Partito esistono anche altri uomini e donne in grado di portare avanti il lavoro fatto da voi. La convince come risposta?
«No, onestamente, non mi convince e l’ho detto anche a Stella. Non si tratta qui di discutere competenze e qualità di quel manipolo, che resterà comunque troppo sparuto, di uomini e donne che in parlamento per il Pd si occuperanno di ambiente. Ma piuttosto della scelta di non ricandidare persone che come me e Roberto Della Seta rappresentano una “cultura” ambientalista che si è formata in quel movimento, nell’associazionismo e che in questi anni, mi perdonerete la presunzione, sono stati il punto di riferimento di un vasto e ampio arco di forze innovative e sempre più presenti nella scena civica, associativa ed anche economica di questo Paese. Gli appelli, di cui avete dato diffusamente conto anche voi, che provenivano dalle associazioni ambientaliste e dei consumatori più rappresentative e da oltre 200 operatori, anche importanti, della green economy questo hanno testimoniato. La scelta di non ascoltarli, se non per la conferma di Ermete Realacci (e ci sarebbe mancato altro!), è stato un grave errore del Pd che temo avrà ricadute anche sul piano del consenso elettorale e che ho paura sia da iscriversi a una scelta più generale di preferire l'”identità ” tradizionale a un vero allargamento ai nuovi pensieri e alle nuove istanze del terzo millennio»
Sul campo, ci pare, vada riconosciuto a Bersani che di fronte agli applausi quasi all’unisono per il piano di Confindustria, abbia almeno detto che «abbiamo interi settori dell’economia che sono stati massacrati, dall’edilizia all’economia verde alle rinnovabili. Su questo dobbiamo riprendere un filo comune». Magari gli ambientalisti non ci sono più, ma qualcosa avete seminato?
«Certo che sì. Ci sono processi irreversibili per fortuna e la semina non si inaridisce. Non ho dubbi, ad esempio, che l’auspicato Governo di centrosinistra renderebbe finalmente stabili gli incentivi del 55% per le ristrutturazioni edilizie che prevedono il risparmio energetico o che finalmente si affronterà più seriamente il dissesto idrogeologico. Sono le cose più nuove e controverse che mi preoccupano: dal flusso di materia prima richiamato, a una politica concreta di accompagnamento delle rinnovabili verso la grid parity, a quali infrastrutture ritenere davvero utili. Temi su cui lo scontro con i vecchi poteri sarà più duro»
A livello Europeo greenreport.it ha sottolineato come la proposta di governo dell’Spd – il Partito socialdemocratico di Germania – di proibire alle banche «le transazioni di materie prime ed energia», sia davvero di altissimo interesse. Lei che ne pensa? L’avrebbe sostenuta nel Pd?
«Assolutamente sì, al 100%. E credo che debba essere oggetto di iniziativa politica prossimamente. Non penso di smettere di impegnarmi per il successo di queste idee solo perché fuori dal Parlamento. Sono sempre più convinto, come ho avuto di dire e scrivere spesso in questi anni, che siano le classi dirigenti di questo Paese a non sapere cogliere il consenso che avrebbero proposte di riforme radicali e innovative. Ma quel consenso c’è e cresce: l’ho misurato per vent’anni in un’associazione ambientalista, diventata sempre più forte e radicata, e in questi anni di vita parlamentare. E anche se su questo aspetto oggi dobbiamo ammettere onestamente una sconfitta, la sfida che ci attende è trovare le strade e le forme per organizzare meglio quel consenso».