pubblicato su La Nuova Ecologia
Negli ultimi cinque anni in Europa siamo stati il Paese che è meno migliorato sui fronti della transizione energetica e della decarbonizzazione. A causa degli ostacoli frapposti alle rinnovabili
Quando si parla delle performance ambientali del nostro Paese spesso si finisce per sembrare contraddittori. Nel dibattito pubblico prevalgono le lamentele sui ritardi accumulati sulla transizione ecologica, la sacrosanta contestazione della conservazione “fossile”, la strenua battaglia contro Nimby e Nimto che impediscono il progresso dell’economia circolare e di un sistema industriale decarbonizzato. A questo andamento fanno da contrappeso una serie di numeri indiscutibili, raccontati nei nostri forum sui rifiuti e da autorevoli rapporti come “GreenItaly” della Fondazione Symbola o quello diffuso agli Stati generali della green economy di Ecomondo dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile. Questi dossier confermano i risultati lusinghieri del nostro Paese nel recupero di materia, ad esempio, così come la grande capacità delle nostre industrie più vivaci e sostenibili di tenere alti livelli di export e di competitività nel panorama globale.
A ben vedere, non si tratta di una contraddizione nell’impostazione del dibattito su questi argomenti, quanto piuttosto di numeri che spiegano il perché di un sistema economico divergente. Da un lato c’è la capacità e il talento italiano di “fare molto con poco” che, anche grazie a una cornice legislativa adeguata e tempestiva – il decreto Ronchi sui rifiuti del 1997 – consente di macinare record in questo campo; dall’altro c’è una politica energetica governata, da sempre, dai big player delle fossili, impaurita dall’innovazione che metterebbe questi ultimi fuori gioco, e che non sa cogliere le opportunità di modernizzazione offerte da efficienza energetica e rinnovabili. Con Eprcomunicazione e la Cooperativa Erica di Alba (Cn), nell’ambito del festival Circonomìa che organizziamo da dieci anni, abbiamo chiesto a Duccio Bianchi, uno dei massimi esperti di questi temi, di monitorare le differenze che si vanno sviluppando tra il nostro Paese e il resto d’Europa. E abbiamo trovato la conferma che quella apparente contraddizione in effetti non c’è, bensì sono vere entrambe le cose.
Se con i dati del 2023 l’Italia – terza in Europa secondo i parametri virtuosi presi in esame – resta sul podio nel vecchio continente, va purtroppo sottolineato che in soli due anni è scesa dal primo al terzo gradino. Nell’economia circolare rimaniamo un’eccellenza assoluta in Europa: siamo primi nel tasso di riciclo dei rifiuti sia urbani che speciali, e tra i migliori nel consumo di materia sia pro capite che per unità di Pil. Questo primato è frutto di un sistema di gestione virtuosa dei rifiuti, di cui sono espressione rilevante i consorzi per la raccolta e il riciclo dei materiali da imballaggio di plastica tradizionale di Corepla (14% in più rispetto alla media europea), quelli per carta, vetro e alluminio, fino a Biorepack, il nuovo consorzio per la raccolta dell’umido.
Tutto si può migliorare, ovviamente, ma i numeri ci sono. Il problema, semmai, sono le performance davvero mediocri sui fronti della transizione energetica e della decarbonizzazione. La perdita di velocità dell’Italia non è casuale né inattesa, visti gli ostacoli sistematici frapposti allo sviluppo delle rinnovabili. Negli ultimi cinque anni siamo stati il Paese che è meno migliorato tra tutti quelli europei. In un ranking che misuri i trend di miglioramento scivoleremmo al ventisettesimo posto. È ora di cambiare marcia.