pubblicato su Huffingtonpost.it
C’è molta rottamazione nel documento di Fabrizio Barca “Un partito nuovo per il buongoverno”, ma implicita e “gentile”.
Barca non vuole rottamare i partiti in quanto tali, anzi li considera strumenti insostituibili per la democrazia e per il buongoverno. Però dice cose spietate sui partiti odierni, compreso il suo (si è appena iscritto al Pd): dice che le due principali malattie italiane sono in una “macchina dello Stato arcaica e autoreferenziale” e poi, per l’appunto, in “partiti stato-centrici che anziché trarre legittimazione e risorse finanziarie dai propri iscritti le traggono dal rapporto con lo Stato”; partiti basati, qui Barca cita un libro recente di Piero Ignazi, sulla “colonizzazione dell’amministrazione, il patronage e il clientelismo”.
Insomma, nell’iniziativa di Barca sembrano convivere da una parte una diagnosi totalmente infausta sui partiti come sono oggi, dall’altra un’attenzione accurata a non mettere dichiaratamente in mora l’attuale gruppo dirigente del Pd. Convivenza quanto meno difficile: perché la forma-partito è importante e determina molto della capacità di un’organizzazione politica di immergersi nella società che dovrebbe servire, ma il problema del Partito democratico – peraltro l’unico partito vero tra quelli formalmente rimasti – è anche di dotarsi di uno sguardo sulla realtà pienamente contemporaneo. Su questo punto Barca non dà risposte e non si fa nemmeno troppe domande, come trascura quasi del tutto campi nuovi di valori, di bisogni, di interessi – un esempio per tutti: l’ambiente e la sostenibilità – decisivi per confezionare una proposta riformista appena credibile. Una domanda invece gliela rivolgiamo noi: non crede che una rivoluzione come quella che lui propone farebbe fatica a camminare sulle gambe di uomini e donne che provengono – culturalmente più che generazionalmente – quasi da un’altra era geologica?