Articolo pubblicato su Europa
Nella crisi, c’è anche un’Italia che corre, o che almeno prova a farlo. E’ quell’Italia fatta di piccole e medie imprese che sta puntando sulla green economy e che nonostante la distrazione, e a volte l’ostruzionismo di questo Governo, sta raccogliendo successi e dimostra che sempre si possono cogliere le opportunità se si sa cogliere in vento giusto.
E che quello giusto sia quello “verde” non deve certo stupire più di tanto se tutte le più grandi economie, dagli Usa di Obama, alla Germania di Merkel e alla Gran Bretagna del nuovo duo lib-tory, , ma persino gli emergenti (Cina, India, Brasile) stanno puntando su energie rinnovabili, innovazione tecnologica, nuovi materiali, le prime per uscire dalla crisi, i secondi per alimentare con più forza una crescita straordinaria.
Allora, vista da questa prospettiva, non sorprende affatto la realtà per cui il 30% delle nostre piccole e medie imprese sta puntando sul green, e che tale percentuale superi il 40% tra quelle che sono cresciute economicamente nel corso del 2009 e che hanno elevato la qualità dei loro prodotti.
Sono i dati forse più significativi della ricerca Green Italy condotta da Symbola e Unioncamere eche saranno al centro della riflessione del seminario estivo della Fondazione presieduta da Ermete Realacci che quest’anno si terrà a Monterubbiano nelle Marche dal 15 al 17 luglio.
D’altra parte sono proprio i numeri di quel settore che, certo non esaurisce la green economy, ma ne è larga parte, le fonti rinnovabili, che dimostrano che un po’ di purosangue dell’innovazione li abbiamo anche nel nostro Paese: oltre 1300 Mw di fotovoltaico installato negli ultimi due anni; 6,6 TWh di energia elettrica prodotta con il vento nel 2009. Nel complesso nel 2009 abbiamo raggiunto, complice sgraditissima la crisi economica che ha ridotto i consumi, due risultati che fino a pochissimo tempo fa sembravano assolutamente fuori dalla nostra portata: un chilowattora su quattro di energia elettrica prodotta in Italia proveniva da fonti rinnovabili, e oltre 10% dei consumi finali totali di energia era da rinnovabili. Considerando che l’obiettivo che l’Europa ci impone di raggiungere entro il 2020 è il 17%, sembra che finalmente abbiamo imboccato la strada giusta. E’ stato relativamente semplice, è bastato portare a termine nella scorsa legislatura una riforma del sistema delle incentivazioni di stampo “europeo” e gli artigiani, gli imprenditori, i cittadini hanno pensato al resto. Certo il gap con la Germania dei 300.000 occupati nella filiera di settore resta ampio, ma i 25.000 occupati dell’eolico italiano – che potrebbero diventare quasi 70.000 da qui al 2020 – iniziano ad essere una realtà economica. Una realtà che recentemente ha impedito la sciagurata scelta che voleva fare il Governo di tagliare le gambe all’intero settore con un articolo della finanziaria. Peraltro proprio alla costruzione di una filiera industriale si deve la buona notizia per cui in Italia è ripartita anche la ricerca in questo settore, ricerca in cui sono protagonisti pezzi di Università , enti pubblici, ma anche aziende private, quali ad esempio quelle coinvolte nel solare termodinamico, una tecnologia che oggi sembra offrire interessantissime prospettive per il futuro.
Troppo spesso però il Governo Berlusconi rema contro. Una ritrosia quella della maggioranza di centrodestra italiana, ottusa, vecchia e frutto di pregiudizi ideologici. Come altrimenti spiegarsi l’ostinato rifiuto di prorogare quella misura, il 55% di “sconto fiscale” nelle ristrutturazioni edilizie volte al risparmio energetico, che nei primi due anni è stata utilizzata da oltre 600.000 cittadini, ha messo in moto un giro di affari di oltre 12 miliardi di euro senza pesare sul bilancio dello Stato (perché ha significato anche tanta emersione dal nero), ha rappresentato una boccata d’aria pulita per un settore, quello dell’edilizia, che più di altri viene colpito dalla crisi, e ha permesso di risparmiare la quantità di energia elettrica prodotta da una grande centrale termoelettrica.
Ecco: la riforma delle rinnovabili è quello che la “politica buona” dovrebbe fare per mettere in grado quel sistema economico di potersi sviluppare, la mancata proroga del 55% è quello che la “politica cattiva” offre a un sistema di imprese che invece spesso è più avanti di quel che si immagini
Francesco Ferrante