Lo sconcertante caso di Giuseppe Uva

IL MIO INTERVENTO IN AULA (presidente Vannino Chiti)

 

FERRANTE (PD). Signor Presidente, ho chiesto di intervenire a proposito di una interrogazione da me depositata oggi. Quindi, più che una sollecitazione, questo intervento mira a sottolinearne la gravità . L’interrogazione, signor Presidente, che lei stesso ha voluto firmare con me, riguarda il caso di Giuseppe Uva, un signore morto nel giugno del 2008 a seguito di un trattamento sanitario obbligatorio, disposto a seguito del suo fermo in una caserma dei carabinieri a Varese. La vicenda, molto dolorosa, è assurta agli onori delle cronache in questi ultimi giorni grazie alla denuncia, non solo delle associazioni che si occupano di questi problemi (in questo caso, dell’associazione «A buon diritto», presieduta da Luigi Manconi), ma anche della sorella della vittima. Anche in questo, tale vicenda presenta una somiglianza dolorosa con quella di Stefano Cucchi.  La vicenda è particolarmente grave, anche perché, come per Stefano Cucchi, presenta dei gravi dubbi sul modo in cui si sono svolti i fatti all’interno della caserma dei carabinieri. àˆ probabile che vi sia stato un vero e proprio pestaggio, a seguito del quale, anche per la somministrazione di farmaci errati, Giuseppe Uva è morto.  Mi permetto di sottolineare la gravità  della vicenda e nell’interrogazione chiedo che sia il Presidente del Consiglio a riferirne qui in Senato, perché si tratta di un ennesimo caso di un quadro più ampio. Nelle nostre carceri e nei nostri centri permanenti di detenzione, infatti, si verificano sempre più spesso casi di questo genere, dolorosissimi per le vittime, ma che generano inquietezza anche se guardiamo a chi dovrebbe rappresentare lo Stato al meglio, mantenendo i diritti di tutti e anche di coloro che sono, appunto, privi della libertà  (e, forse, di questi ancor prima di chiunque altro).