Le elezioni regionali francesi consegnano, tra i risultati più eloquenti, la conferma di Europe Ecologie come terza forza della politica d’Oltralpe: il partito di Cohn-Bendit, con oltre il 12% dei voti, è rimasto al di sotto dell’exploit delle europee del 2009, ma il suo successo è forse ancora più sorprendente di un anno fa in quanto ottenuto in elezioni amministrative dove, tradizionalmente, un voto tipicamente d’opinione come quello per gli ecologisti pesa molto di meno.
Dopo la Germania e i Paesi del Nord Europa, insomma, anche la Francia sembra dare cittadinanza stabile all’ecologismo nel proprio paesaggio politico. Ed è bene in questo caso parlare di ecologismo, non di “Verdi”, perché Europe Ecologie è una galassia di esperienze, storie, sensibilità provenienti da molte origini diverse. Ci sono certo “les Verts”, ma insieme agli “altermondialisti” di José Bové, a esponenti di rilievo del mondo associativo come Yannick Jadot, già a capo di Greenpeace, a personalità “civiche” molto popolari come il giornalista Nicolas Hulot e l’ex-magistrata Eva Joly; il tutto sotto l’abile e carismatica regia di Daniel Cohn-Bendit, capogruppo dei Verdi al Parlamento europeo e teorico della “trosième gauche”, la terza sinistra come superamento dell’alternativa novecentesca tra riformismo e antagonismo.
Indicativa è anche la geografia del risultato elettorale di Europe Ecologie: che ottiene gli score più brillanti nelle aree più dinamiche e ricche della Francia, a cominciare dall’Ile de France, la regione di Parigi, dove con la lista guidata dalla trentenne Cécile Duflot, segretaria nazionale dei Verdi, supera il 20%.
Sarebbe bene che anche in Italia si desse adeguata attenzione al buon successo degli ecologisti francesi, e che soprattutto ci ragionasse sopra il Pd. In buona parte d’Europa l’ambientalismo politico cresce nei consensi e si afferma come un protagonista stabile della dialettica elettorale. E’ possibile, forse probabile, che così accadrà presto o tardi anche da noi, che cioè anche da noi l’elettorato comincerà a premiare le posizioni, le proposte che danno rappresentanza a temi come la qualità dell’ambiente, la “green economy”, la tutela dei beni comuni, ogni giorno più popolari.
Il Partito Democratico può essere il luogo politico principale di tale processo? Noi crediamo di sì, ma per essere questo il Pd deve ritornare alla sua ispirazione originale: che non era la fusione più o meno fredda tra post-comunisti e post-democristiani, ma l’apertura di un cantiere dove tutti, qualunque fosse il proprio pedigree politico, collaborassero a dare corpo a un’identità riformista fresca, moderna, capace di aprirsi a problemi e a bisogni inevitabilmente estranei, per motivi di anagrafe storica, sia alla tradizione socialista sia a quella del popolarismo cattolico. La via per una parte è già aperta, basti pensare a molte scelte innovative avviate in questi anni nelle Regioni governate dal centrosinistra – in Piemonte e in Puglia nelle politiche energetiche, in Toscana nel governo del territorio – o al forte peso dei temi ambientali nel discorso pubblico di nostri candidati governatori, da Vendola a Bresso a Errani a Bonino. Bisogna che anche dopo le elezioni regionali questa diventi una traccia visibile e decisiva del cammino del Pd, che il nostro partito impari a parlare d’ambiente tutti i giorni, a nutrirne le sue proposte e dove governa le sue politiche, a proporlo come una chiave importante per mostrare cosa vogliamo per il futuro e in cosa siamo diversi dalla destra.
Fuori da questa scelta, per ora largamente incompiuta, due pericoli sono in agguato: che a scoprire l’ambiente arrivi per prima la destra, magari con la Lega in un’insopportabile salsa localista, e che nel campo del centrosinistra siano altri ad occupare lo spazio di una chiara, coraggiosa, avanzata posizione ecologista.
Dalla Germania dove i “Grà¼nen” sono corteggiati da destra e sinistra, alla Francia dove il decollo di Europe Ecologie si accompagna al precoce tramonto del neo-centrismo di Bayrou, si dimostra che l’ecologia è oggi uno dei terreni prevalenti dove intercettare il consenso post-ideologico – vogliamo dire “di centro”? – di chi vota libero da appartenenze precostituite. Vorremmo tanto che il Pd lo capisca in tempo.