Quando migrano gli onorevoli

Articolo pubblicato da L’Unità 

Bruno Gravagnuolo su l’Unità  boccia la nostra proposta di proibire le trasmigrazioni di parlamentari verso gruppi o addirittura schieramenti concorrenti di quelli nei quali sono stati eletti. Per Gravagnuolo la proposta non va bene perché “fa a pugni con l’articolo 67 della Costituzione”. Non c’è dubbio che sia così, e infatti il nostro è un disegno di legge di modifica costituzionale.

Ma venendo al merito. La motivazione più che condivisibile che spinse i Costituenti, sessant’anni fa, a fissare nella carta il principio della libertà  di mandato per i parlamentari, era rafforzare gli anticorpi ad ogni deriva autoritaria.

Oggi però lo scenario è diverso. L’Italia, sia pure in modo imperfetto, ha scelto di diventare una democrazia maggioritaria: è un errore confondere questa scelta con le intenzioni plebiscitarie di Berlusconi, ed è un errore ancora più grande teorizzare, come fa Gravagnuolo, che una democrazia parlamentare non possa essere maggioritaria.   Il bipolarismo è stata una conquista per la democrazia italiana, per la prima volta dopo quasi mezzo secolo ha aperto la via ad una vera alternanza nel governo del Paese.

D’altra parte, l’articolo 67 della Costituzione non ha impedito ai governi Berlusconi di svuotare progressivamente l’autonomia e la sovranità  dell’istituzione parlamentare. Ma la dignità  del Parlamento è almeno altrettanto minacciata dalla pratica del trasformismo, dall’abitudine di troppi parlamentari di cambiare casacca in corso di legislatura, passando spesso a partiti avversari di quelli che li avevano candidati. Questa è un’abitudine non solo discutibile sul piano dell’etica pubblica, ma del tutto funzionale alla strategia berlusconiana di sminuire l’autorevolezza e la credibilità  del Parlamento.

Gli effetti deteriori del trasformismo sono ulteriormente ingigantiti dall’attuale legge elettorale, che sottrae agli elettori la scelta di deputati e senatori: uno schiaffo in piena faccia ai cittadini che oltre al danno di non potersi scegliere i rappresentanti, subiscono la beffa di vedersi “tradire” da parlamentari eletti solo in quanto “nominati” in questa o quella lista.   

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Winston Churchill sostenne con passione che la Camera dei Comuni, da ricostruire dopo i bombardamenti, andava rifatta mantenendone la forma oblunga (quella che ha tuttora), perché così sarebbe stato più difficile per chiunque passare da una parte all’altra. Churchill era un liberale e un parlamentarista, sapeva bene che il trasformismo è il più sicuro alleato di chi umilia il Parlamento e coltiva mire autoritarie.

 

Roberto Della Seta
Francesco Ferrante