Un galantuomo nella palude e la questione morale

Da vent’anni conosciamo Fernando Di Mezza, l’assessore di Napoli agli arresti domiciliari da mercoledì. Ci accomunano la militanza ambientalista e una più recente, condivisa scelta di appartenenza politica. Siamo certi, assolutamente certi, della sua innocenza e della sua onestà , e conoscendolo bene lo immaginiamo in queste ore determinato a dimostrare la sua pulizia ai magistrati e all’opinione pubblica. Siamo altrettanto fiduciosi che i magistrati sapranno distinguere il grano dal loglio, e che la verità  dei fatti darà  ragione a Di Mezza. Speriamo solo che ciò avvenga presto e non si lasci un galantuomo nella palude delle accuse per troppo tempo.

Più difficile sarà  per Fernando scrollarsi di dosso un’immagine che gli è stata appiccicata in questi giorni in cui tutte le vacche sembrano nere, e persino uno come lui che ha passato una vita nell’impegno contro la criminalità   e le  ecomafie che attanagliano la sua terra, si trova confuso in una sorta di “gramelot” indistinto che tende a rappresentare tutti quelle toccati dalle inchieste in corso, politici e imprenditori, a prescindere dalle storie e responsabilità  specifiche di ciascuno, come complici di un unico, immenso malaffare.

Non è così evidentemente. Ma – e qui il tema si fa inevitabilmente politico e interroga direttamente e pesantemente il Partito Democratico – per uscire da questo pantano occorre che tutti noi Democratici troviamo una nuova e più forte determinazione sulla questione morale. Una determinazione che finora, duole dirlo, è mancata. Non si tratta solo o tanto di reclamare la cacciata dal nostro partito dei disonesti e dei corrotti: questo è o dovrebbe essere scontato. Al Pd serve molto di più, serve prendere di petto con rigore e con rapidità  un modo di fare politica che troppo spesso fa perdere di vista il confine, che invece deve essere invalicabile, tra politica e difesa del bene comune da una parte, e interessi privati – anche legittimi – dall’altra. Il cammino di costruzione del Partito Democratico ha finora eluso questo problema, cui invece (e noi diciamo: per fortuna) i nostri elettori sono molto sensibili, più magari di chi vota per il centrodestra come anche le recenti elezioni in Abruzzo hanno confermato. Il progressivo cristallizzarsi in correnti del nostro nuovo partito, se possibile ha peggiorato ulteriormente la situazione di partenza: più la corrente è “forte”, e più spesso a livello territoriale sceglie come propri rappresentanti personaggi discussi e discutibili. Che magari sbandierano i loro legami a doppio filo con questo o quel gruppo d’interessi come “radicamento territoriale”.

La politica, la buona politica delle lezioni di Walter Veltroni, quella per cui è nato il Pd e in nome della quale tre milioni e mezzo di italiani hanno partecipato alle primarie di un anno fa, è un’altra cosa. Tocca a noi farla vivere, nei Palazzi romani e tra le persone in giro per l’Italia, altrimenti  questa che resta la migliore sfida possibile per modernizzare e riformare il nostro Paese  annegherà  in un mare di sfiducia, di rassegnazione, di disincanto.  Insomma per non scivolare il Pd deve cominciare a correre, liberarsi di indecisioni e cautele eccessive: solo così, se alzeremo con forza e con orgoglio la bandiera di una politica pulita e decisa, la nostra rivendicata vocazione maggioritaria non resterà  come una stanca formula retorica.

 

Roberto Della Seta
Francesco Ferrante