“Per difendere l’ambiente finanziamo l’industria dell’automobile”. Fino a pochi mesi fa qualunque ambientalista rispettabile avrebbe considerato tale affermazione come una bestemmia, un controsenso. Ma oggi è ancora così? O invece questo apparente paradosso indica una via possibile, forse auspicabile, per intrecciare virtuosamente tra loro le risposte alle due principali emergenze globali del presente, recessione e crisi climatica?
Così la pensano, sulle due sponde dell’Atlantico, il Presidente eletto Barack Obama e i principali leader europei (Merkel, Sarkozy, Brown, Barroso), l’uno e gli altri convinti che il necessario, forte sostegno alla domanda interna e all’industria più in affanno, a cominciare da quella automobilistica, vada collegato a un obiettivo meno contingente ma altrettanto decisivo: ridurre l’impatto ambientale delle produzioni e dei consumi, e in particolare ridurre le emissioni che alimentano i mutamenti climatici. Così la pensano in Occidente con due eccezioni: Bush che continua a proporre sovvenzioni a pioggia svincolate da ogni impegno di “ristrutturazione ambientale” per salvare le tre grandi case automobilistiche Usa, e il nostro governo, spalleggiato dall’attuale gruppo dirigente di Confindustria, che si ostina a contestare il “pacchetto clima ed energia” dell’Unione Europea.
In effetti Berlusconi e i suoi ministri, invece di coltivare – in nome del no a politiche incisive contro i mutamenti climatici – alleanze improbabili e contronatura con i Paesi dell’est europeo che hanno economie, ed interessi, molto lontani dai nostri, farebbero bene ad impegnarsi più seriamente per difendere nel negoziato a Bruxelles l’industria automobilistica italiana, i cui modelli emettono in media meno CO2 degli altri ma la cui “eccellenza” non è adeguatamente riconosciuta e valorizzata nell’attuale proposta di Regolamento europeo sui limiti di emissioni delle auto.
Ex malo bono. Come sottolineava ieri Francesco Rutelli in un articolo sul “Sole 24 Ore”, è possibile ed è auspicabile mettere a frutto questa crisi economica inedita e drammatica per innescare un circolo virtuoso fatto di aiuti all’industria finalizzati a accelerare l’innovazione tecnologico-ambientale. E l’industria automobilistica, per il grande impatto ambientale che rappresenta e per l’elevato peso specifico nelle economie dei grandi Paesi industrializzati – gli Usa, la Francia, la Germania, l’Italia, il Giappone -, può essere uno dei più proficui laboratori di questo nuovo approccio.
Basta insomma con la stagione degli incentivi indifferenziati alle rottamazioni delle auto, e via invece a programmi d’incentivazione che al tempo stesso sostengano consumi e produzione e spingano la riconversione ecologica dell’economia: si indurrebbe così una competizione virtuosa fra le industrie automobilistiche a chi è più “green”, non sulle pagine dei giornali con pubblicità e promozioni più o meno ingannevoli ma nella realtà dei prodotti e dei processi industriali, e questo farebbe degli incentivi dei veri, non effimeri strumenti di politica industriale.
E’ una svolta radicale, che impone un cambiamento profondo in termini di mentalità : lo impone a noi ambientalisti, che dobbiamo superare tabù e pregiudizi anti-industriali, e lo impone al mondo dell’industria, in Italia più che altrove incapace di vedere che migliorare l’ambiente, scongiurare il collasso climatico non sono fisime da anime belle ma traguardi decisivi per lo stesso futuro dell’economia.
Francesco Ferrante
Roberto Della Seta