I media italiani quasi non se ne sono accorti, ma tra i segni politici, culturali, programmatici più innovativi del Pd guidato da Walter Veltroni, c’è la priorità assegnata a quello che Veltroni stesso ha chiamato “ambientalismo del fare”. Al Lingotto, a Spello, nel discorso all’assemblea costituente di sabato scorso – cioè nelle tre principali occasioni in cui il segretario ha presentato la sua idea di Partito democratico – il racconto veltroniano della “weltanschaung” democratica è sempre partito dall’ambiente.
“La nuova Italia – così Veltroni al Lingotto – nasce dalla riscrittura di almeno quattro grandi capitoli della nostra vicenda nazionale: ambiente, nuovo patto fra le generazioni, formazione e sicurezza. I mutamenti climatici sono il primo banco di prova di questa vera e propria sfida. (…) L’Italia deve giocare da protagonista questa partita recuperando il terreno perduto, oppure non solo avremo mancato di dare il contributo che ci tocca a fermare i mutamenti climatici, ma ci ritroveremo più arretrati, meno dinamici e competitivi degli altri grandi paesi europei”.
A Spello: “Nessun popolo della terra ha ereditato tanto dai suoi progenitori. E nessun popolo, meglio del nostro, è messo nelle condizioni di capire come lo sviluppo economico non solo non sia in contrasto, ma possa e debba sposarsi con la qualità della vita. Troppo a lungo crescita economica e salvaguardia dell’ambiente, espansione urbanistica e tutela del patrimonio artistico, perfino lavoro e cultura, occupazione e scolarizzazione, sono stati pensati come valori contrapposti, come se l’uno fosse una minaccia per l’altro. E invece, oggi abbiamo compreso che quei valori sono tali solo se promossi insieme. (…) Questa è la modernità che ci piace. Quella che unisce l’incremento del Pil alla qualità della vita e alla tutela della natura”.
Infine, all’assemblea costituente di sabato scorso, Veltroni ha indicato, come prima di dodici priorità programmatiche, la coppia infrastrutture-qualità ambientale: sostenendo che serve una politica energetica europea comune, orientata a ridurre le emissioni dannose per il clima e ad aumentare efficienza energetica e peso delle energie rinnovabili, proponendo l’obiettivo – cui ha dato il nome di “rottamazione del petrolio” – di trasformare ad energia solare entro dieci anni il riscaldamento di tutti gli edifici pubblici e privati, e affermando che nell’immediato futuro lo sviluppo delle tecnologie necessarie per fronteggiare i problemi ambientali sarà l’equivalente di ciò che è stato nel ventennio scorso la rivoluzione informatica, cioè “il motore di un più vasto cambiamento economico e sociale”.
Dopo il Lingotto, dopo Spello, dopo l’assemblea costituente di sabato, finalmente l’Italia non è più l’unico grande Paese occidentale dove di ambiente in politica si occupano soltanto i Verdi. Come in Francia con Sarkozy e la Royal, come in Inghilterra con Brown e Cameron, come in Germania con la Merkel, come in Spagna con Zapatero, come negli Stati Uniti con Obama, Clinton e Mc Cain, anche in Italia grazie a Veltroni la politica con la P maiuscola, la politica dei leader – quella del Pd, perché la destra italiana resta la più anti-ambientalista d’Europa – mette l’ambiente al centro del suo discorso.
Questo risultato è tanto più importante visto cosa sono – meglio: cosa sono diventati – i Verdi italiani: un partitino autoreferenziale, che prende la stessa manciata di voti di quando è nato vent’anni fa e la cui principale preoccupazione – una sorta di “ragione sociale” – è accaparrarsi frammenti di visibilità offrendo sponda e protezione a qualunque gruppo, comitato che si oppone a qualcosa. Poco importante se il “qualcosa” siano pale eoliche o centrali inquinanti, ferrovie o autostrade, discariche o impianti di compostaggio per riciclare i rifiuti.
Il nanismo numerico e politico dei nostri Verdi ha contribuito a un’altra anomalia tutta italiana. Nel mondo la questione ambientale – a cominciare dal tema inedito e drammatico dei mutamenti climatici – è in cima all’attenzione dell’opinione pubblica e delle stesse forze politiche; a destra come a sinistra si dà atto all’ambientalismo di avere capito e detto per primo che nel tempo presente senza l’ambiente al centro non c’è vero progresso né sviluppo duraturo; la maggior parte degli osservatori individua nella rivoluzione energetica, nell’uscita dall’età del petrolio, il principale banco di prova non solo per affrontare i problemi dell’inquinamento ambientale, ma per modernizzare l’economia e lavorare ad un mondo nel quale il riscatto sociale ed economico di Paesi immensi come la Cina e l’India non sia pagato con il suicidio ecologico dell’intera umanità . Così nel mondo, mentre in Italia l’ambientalismo politico di cui si parla è quello che impedisce di fare, di fare pure le cose indispensabili per difendere l’ambiente: l’ambientalismo del no ha impedito di fare in Campania gli impianti di compostaggio e i termovalorizzatori, che si batte contro i rigassificatori e contro l’alta velocità , contro l’eolico e magari contro le tramvie.
Adesso però il Pd deve guardarsi da un pericolo: l’ambientalismo del fare vuol dire che per noi ci sono molte infrastrutture che vanno fatte proprio e innanzitutto nell’interesse dell’ambiente, ma l’ambientalismo del fare non deve ridursi, nella vulgata che ne danno i giornali, magari anche nelle intenzioni di tanti nostri compagni ed amici di partito tuttora fermi ad un’epoca in cui benessere e sviluppo erano sinonimi di ciminiere ed asfalto, all’obiettivo di togliere di mezzo lacci, lacciuoli, veti – anche i veti dell’ambientalismo del no – che hanno rallentato le grandi opere. Intanto perché le grandi opere non devono essere un tabù ma nemmeno un totem: ce ne sono di indispensabili e urgenti – indispensabili e urgenti anche per ragioni ambientali: è il caso delle ferrovie, degli impianti per riciclare i rifiuti, degli stessi rigassificatori – e ce ne sono di dannose. Per esempio, in un Paese come il nostro dove tre quarti dei passeggeri e delle merci si spostano su strada e dove i pannelli solari sono un ventesimo che in Germania, bisogna dire sì all’alta velocità e a un forte potenziamento del trasporto pendolare e dei trasporti collettivi urbani, e no a nuove autostrade; sì ai rigassificatori e agli impianti che utilizzano le energie pulite, no a nuove centrali a carbone e no a un improbabile ritorno al nucleare.
E poi l’ambientalismo del fare non è solo una questione di infrastrutture: è molto di più, è l’idea che oggi l’ambiente sia per moltissimi un criterio decisivo per misurare il progresso e il benessere; è la convinzione che per l’Italia l’ambiente è il simbolo di alcune delle nostre risorse – anche risorse economiche – più strategiche: senza valorizzare l’ambiente, il paesaggio, il territorio, non c’è futuro per il turismo, per l’industria agroalimentare, per lo stesso made in Italy che dalla moda al design deve il suo successo anche e molto al fatto di evocare la bellezza italiana, quella di Firenze e di Capri, delle Cinqueterre e di Venezia.
Il Pd è un partito nato nel XXI secolo. Facciamo tutti uno sforzo – noi che abbiamo scelto di farne parte, quelli che da fuori ne osservano i primi passi – per non viverlo e non descriverlo con la testa ancora immersa nel Novecento.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante