Clima, Trump abbandona l’accordo di Parigi: e ora?

pubblicato su Agenda Digitale

L’ha fatto, per la seconda volta. La decisione del rieletto presidente Trump comporta delle conseguenze. Ecco qual è l’impatto del ritiro Usa dall’accordo di Parigi e soprattutto che ruolo riveste l’innovazione

di Mirella Castigli

Nel primo giorno da presidente degli Stati Uniti, nella sua seconda amministrazione, Donald Trump firma una lettera con cui notifica all’ONU la nuova uscita degli Usa dall’accordi Parigi, il trattato che punta a contenere gli effetti della crisi climatica.

Non è una novità, perché è la seconda volta in cui il rieletto presidente Trump ritira gli Usa, il secondo più grande Paese che emette gas serra che riscaldano il pianeta, dall’accordo sul clima di Parigi, mettendo in mora le Nazioni Unite. Era uno dei punti chiavi del suo programma elettorale anche in questa campagna elettorale, ed era ampiamente previsto.

“Tutto si può infatti dire della decisione di Trump tranne che sia sorprendente”, come Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club: “Di questo tema e dell’attacco al Grean deal ha fatto il centro della sua campagna elettorale vincente e quindi era prevedibile che uno dei primissimi ordini esecutivi sarebbe stata l”uscita dall’accordo di Parigi”.

Tuttavia, tutto ciò avviene nell’anno che non solo è il più caldo di sempre, secondo Copernico, ma in cui per la prima volta il pianeta ha superato l’anno scorso la soglia dell’aumento di 1,5 gradi C al di sopra dei livelli preindustriali. E mentre l’Europa della presidente della Commissione europea von der Leyen è caratterizzata dall’afasia, quando invece servirebbe un vigoroso pragmatismo a difesa dei trattati e degli accordi globali.

“Ma l’Europa continua per la sua strada, come previsto. L’afasia è dovuta al fatto che la nuova Commissione europea sta entrando in forza ora, e dunque presto verremo inondati di novità di cui c’è bisogno”, sottolinea Luigi di Marco dell’Alleanza italiana dello Sviluppo Sostenibile (AsViS).

Ecco gli impatti e le conseguenze della decisione di Trump e della sua narrazione, ma soprattutto che ruolo riveste l’innovazione.

Trump ritira di nuovo gli Usadall’accordo sul clima di Parigi: le conseguenze

Nel suo primo giorno di ritorno alla presidenza, Trump ha firmato un ordine esecutivo sul palco di fronte ai sostenitori, in un’arena di Washington DC, con l’obiettivo di abbandonare quello che ha definito “l’ingiusto e unilaterale accordo sul clima di Parigi”.

Ha inoltre firmato una lettera alle Nazioni Unite per comunicare l’uscita degli Usa, avviando così il processo formale di ritiro dal principale sforzo mondiale per mitigare i peggiori impatti della crisi climatica, anche se ci vorrà circa un anno perché avvenga la formalizzazione del ritiro.

“Ma il vero problema riguarda quali possono essere le conseguenze“, continua Ferrante: “A livello internazionale, è sicuramente un passo indietro. La decisione di Trump infatti indebolisce le trattative a livello internazionale, per limitare le emissioni di gas serra e quindi la lotta alla crisi climatica”.

Con l’entrata in vigore dell’ordine esecutivo, il Guardian sottolinea che gli Usa si uniranno all’Iran, alla Libia e allo Yemen come unici Paesi fuori dall’accordo globale, al quale Joe Biden aveva aderito nel 2021 dopo che Trump aveva confermato di volerne uscire durante il suo primo mandato nel 2017.

Ma non solo Trump affianca gli Usa a quegli “Stati canaglia” (secondo una vecchia definizione di George W. Bush). Ma, come osserva Francesco Ferrante, quest’ordine esecutivo depotenzia a livello globale “quelle trattative che hanno compiuto significativi passi avanti mettendo d’accordo a Parigi l’ex presidente Usa Barack Obama e Xi Jinping per la Cina”.

Trump, che ha firmato anche altri otto ordini esecutivi sul palco, ha inoltre dichiarato ai suoi sostenitori nell’arena: “Gli Usa non saboteranno le proprie industrie mentre la Cina inquina impunemente. La Cina usa molta energia sporca, ma produce molta energia. Quando questa roba sale in aria, non rimane lì… Dopo tre giorni e mezzo o cinque giorni e mezzo arriva negli Usa”.

Ma “il ritiro di Trump e degli Usa, che rappresentano il Paese leader dell’occidente, nonostante l’isolazionismo a cui Trump s’ispira, e il Paese più ricco del mondo, costituisce un grave problema”, mette in guardia Ferrante.

La questione problematica della narrazione

La conferma della decisione è contenuta anche in un documento della Casa Bianca pubblicato lunedì, in cui Trump delinea le priorità di America First. Si tratta di un pacchetto di misure dal titolo “Make America affordable and energy dominant again (Rendere l’America di nuovo accessibile e dominante dal punto di vista energetico, ndr)”.

Trump si è anche impegnato a ribaltare gli sforzi di Biden per far crescere il settore dell’energia pulita negli Usa, che Trump ha definito “la nuova truffa verde”. Ha promesso nel suo discorso di insediamento di trivellare come se non ci fosse un domani e di rimuovere tutti i limiti all’industria dei combustibili fossili in forte espansione in America.

Altra questione problematica è l’aspetto della narrazione“, avverte Ferrante: “il ‘drill baby drill’ (‘trivella, baby, trivella’, ndr) ovvero la libertà di trivellare, scegliere le automobili più inquinanti, l’idea che il Grean deal fosse solo una questione di vincoli e di lacci-e-lacciuoli che impediscono all’economia di fare il suo mestiere, è ciò che contrassegna la narrazione di Trump e di tutta la destra globale. Vale in Europa, ma anche in Sud America, basta pensare allo scontro fra Bolsonaro e il presidente Lula in Brasile”.

Si prevede che l’industria dei combustibili fossili si espanderà ulteriormente durante la seconda amministrazione Trump, nonostante la produzione di petrolio abbia già toccato nuovi record. Infatti, già sotto Biden, il Paese è diventato il più grande produttore di gas al mondo e l’anno scorso ha registrato un record di 758 licenze di trivellazione per petrolio e gas.

Secondo una stima, precedente alla vittoria di Trump alle Presidenziali dello scorso novembre, il suo ritorno alla Casa Bianca potrebbe aggiungere 4 miliardi di tonnellate alle emissioni degli Usa entro il 2030.

Cosa succederà dopo il ritiro di Trump dall’accordo di Parigi

Gina McCarthy, ex amministratrice dell’EPA sotto Barack Obama, ha dichiarato che Trump ha “abdicato” alle sue responsabilità nei confronti degli americani abbandonando l’accordo di Parigi.

“Gli Usa devono continuare a dare prova di leadership sulla scena internazionale se vogliamo avere voce in capitolo su come si effettuano trilioni di dollari di investimenti finanziari, politiche e decisioni che influenzeranno il corso della nostra economia e la capacità del mondo di combattere i cambiamenti climatici”, ha dichiarato McCarthy, in un comunicato.

Questa posizione politica di Trump potrebbe non avere una conseguenza diretta e immediata sull’economia e sulla realtà delle cose”, evidenzia Ferrante: “Infatti è una posizione molto ideologica e ha poco a vedere con la realtà. Infatti, durante il primo mandato di Trump, è avvenuta la riduzione più marcata nella storia degli Usa del consumo di carbone, nonostante si fosse recato dai minatori delle miniere di carbone per difendere il loro lavoro nel corso della campagna elettorale che lo portò alla vittoria “.

Come si evince dal grafico del Guardian, durante il primo mandato di Trump, l’uscita degli Usa dal trattato ha avuto un impatto limitato.

Sebbene avesse annunciato l’uscita poco dopo aver prestato giuramento nel 2017, la decisione non è entrata in vigore fino al novembre 2020 a causa di complicati regolamenti delle Nazioni Unite. Questa volta, tuttavia, il ritiro di Trump potrebbe durare anche solo un anno, poiché l’amministrazione non sarà vincolata dall’impegno iniziale di tre anni previsto dall’accordo.

L’eredità di Joe Biden nella lotta ai cambiamenti climatici

Nelle settimane precedenti l’insediamento di Trump, l’amministrazione uscente di Biden ha formalmente presentato nuovi piani nell’ambito dell’accordo di Parigi per obiettivi di emissioni più severi per gli Usa nel 2035, intesi come una “pietra miliare” sulla sua eredità in materia di clima, che comprendeva lo storico investimento in energia pulita nell’Inflation Reduction Act (Ira) del 2022.

Secondo l’ultimo obiettivo di Biden, gli Usa avrebbero dovuto ridurre i gas serra di una percentuale compresa tra il 61% e il 66% entro il 2035, rispetto ai livelli del 2005. Si tratterebbe di un sostanziale rafforzamento degli attuali obiettivi che, secondo i funzionari dell’amministrazione, avrebbero messo gli Stati Uniti sulla strada dell’azzeramento delle emissioni di carbonio entro il 2050.

Pur essendo consapevole del fatto che Trump non avrebbe aderito agli obiettivi presentati a dicembre, il consigliere senior di Biden, John Podesta, ha dichiarato all’epoca: “I leader subnazionali in tutti gli Usa possono continuare a dimostrare al mondo che la leadership degli Stati Uniti in materia di clima è determinata da molto più di chi siede nello Studio Ovale”.

Il ruolo dell’innovazione tecnologica: la transizione energetica è più conveniente

Inoltre “ci sono forze dell’economia, che grazie all’innovazione tecnologica, vanno nella direzione opposta (rispetto ai dettami di Trump, ndr”, osserva Ferrante: “Anche nella produzione di energia elettrica, oggi è più conveniente generare energia elettrica da fonti rinnovabili e non da fonti fossili“.

I sostenitori del clima sperano ora che le città e i leader di tutti gli Stati Uniti continuino a spingere la transizione verso l’energia pulita, con i distretti repubblicani che beneficiano maggiormente degli investimenti dell’IRA e l’energia più pulita, in particolare quella solare, che è più economica di quella sporca come il carbone.

“I nostri stati, le nostre città, le nostre imprese e le nostre istituzioni locali sono pronte a raccogliere il testimone della leadership climatica degli Usa e a fare tutto il possibile – nonostante la compiacenza del governo federale – per continuare il passaggio a un’economia basata sull’energia pulita”, ha spiegato McCarthy, attualmente co-presidente di America Is All In, una coalizione di leader americani preoccupati per il clima.

Per esempio “nel Texas repubblicano, gigante dell’estrazione petrolifera e a favore di Trump, crescono in maniera impetuosa le rinnovabili, grazie al fatto che è un terreno fertile per le rinnovabili (sia eolico che fotovoltaico)”, aggiunge Ferrante: “Quindi la realtà delle cose è un’altra rispetto alla narrazione ideologica di Trump, trumpiusti e destra globale. Quando si pensa alla Cina, il più grande Paese inquinatore del mondo, è vero per lo sviluppo impetuoso cinese, ma è anche il Paese che maggiormente investe nell’innovazione tecnologica e rinnovabili, nelle auto elettriche eccetera”.

“E la Cina diventerà il Paese leader del mondo di queste tecnologie, se noi pensiamo di dar retta a questa ideologia conservatrice e reazionaria di Trump e non diamo modo alle forze più vitali dell’economia, anche in Italia, di investire su tutto ciò che riguarda il Grean Deal che dovrebbe diventare la nuova politica industriale che scommette su innovazione, rinnovabili, finanza energetica, economia circolare, per dare una chance di crescita alla nostra parte di mondo”, conclude Ferrante.

Prospettive future: la risposta dell’Europa rimane il Green deal

Basav Sen, direttore del thinktank di sinistra Institute for Policy Studies, ha dichiarato che, sebbene ritenga che l’accordo di Parigi sia inadeguato a limitare il riscaldamento globale, l’uscita di Trump è “riprovevole”: “Lui e la sua amministrazione non si preoccupano di un’azione globale cooperativa per evitare la catastrofe climatica e vogliono espandere in modo sconsiderato la produzione di combustibili fossili”.

L’industria dei combustibili fossili ha donato 75 milioni di dollari alla campagna di Trump.

Il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul clima “mina la lotta collettiva contro il cambiamento climatico in un momento in cui l’unità e l’urgenza sono più critiche che mai”, ha dichiarato Harjeet Singh, attivista per il clima e direttore fondatore della Satat Sampada Climate Foundation. L’impatto delle decisioni sarà avvertito più duramente dai Paesi in via di sviluppo.

“Queste nazioni e comunità vulnerabili, che hanno contribuito meno alle emissioni globali, sopporteranno il peso dell’intensificarsi delle inondazioni, dell’innalzamento dei mari e della siccità”, ha enfatizzato Singh in un comunicato.

Nel novembre 2025, i leader mondiali si riuniranno in Brasile per un vertice globale delle Nazioni Unite. Probabilmente sarà l’ultima occasione per forgiare un piano globale per evitare che le temperature raggiungano 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali. Gli esperti affermano che le emissioni di combustibili fossili devono essere ridotte rapidamente e profondamente per evitare gli esiti peggiori. Compresi fenomeni meteorologici più estremi, innalzamento del livello del mare, perdita di biodiversità, insicurezza alimentare e idrica e peggioramento degli impatti sulla salute.

Paul Bledsoe, ex funzionario della Casa Bianca di Clinton e ora docente presso il Center for Environmental Policy dell’American University, parlando all’epoca dell’annuncio degli obiettivi di Biden, nel dicembre dello scorso anno, ha dichiarato: “Trump sta mettendo a rischio la stabilità climatica e la sicurezza del pianeta come parte di una strategia politica di guerra culturale, incurante dei miliardi di persone che ne soffriranno”.

L’annuncio di Trump di voler abbandonare l’accordo di Parigi arriva pochi giorni dopo lo scoppio di devastanti incendi a Los Angeles, l’ultimo di una serie crescente di disastri meteorologici estremi legati alla crisi climatica. Gli esperti hanno descritto come gli incendi siano legati a condizioni climatiche composte da venti estremi da uragano, siccità e temperature relativamente alte a gennaio. Hanno causato almeno 27 morti e danni per 250 miliardi di dollari. Trump ha usato il disastro per diffondere disinformazione e alimentare la polarizzazione e la divisione politica.

Il punto di vista Ue

Ma all’Europa conviene proprio andare dalla parte opposta rispetto alla decisione di Trump: “Conviene a prescindere insistere sul Green deal e sulla transizione energetica. Invece di importare fonti fossili per il nostro fabbisogno energetico, fonti di cui siamo dipendenti, la via delle rinnovabili è la strada giusta e non si torna indietro”, avverte Luigi di Marco: “Nel dibattito c’è anche il nucleare ma è un’arma di distrazione di massa che non risolve il problema di raggiungere gli obiettivi 2030”.

“Ancora di più l’Europa deve investire nel green e nella transizione energetica, biodiversità e ripristino degli ecosistemi”, sottolinea di Marco, “anzi, il ritiro di Trump dall’accordo di Parigi è uno stimolo a fare di più e meglio in Ue, per diventare più competitivi in linea con il Piano Draghi, che vanta il sostegno anche dei leader euroscettici come Orbán ha evidenziato nel Patto di Budapest”.

Il rischio è però rappresentazione dalla “guerra dei dazi di Trump che frammenta gli scambi economici, riducendo la cooperazione e minando l’economia globale. La conflittualità politica, secondo l’Onu, costa il 10% del Pil. Anche, secondo il rapporto Draghi, un mercato unico più efficace vale il 10% del Pil”.

In conclusione, servono0 più innovazione tecnologica, più investimenti nella transizione green, bisogna scommettere in Europa sul Green deal e nel Piano Draghi, per combattere le conseguenze nefaste dei cambiamenti climatici, per diventare più competitivi e far crescere l’economia.

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