Pubblicato su huffingtonpost.it
E adesso? La domanda affolla da giorni gli scambi di parole – a voce, nelle chat più o meno improvvisate – tra tanti militanti o semplici elettori del centrosinistra che per mesi hanno vagheggiato la fine del governo-incubo giallonero e ora si scoprono assediati da un incubo ancora peggiore: un governo tutto nero con Salvini primo ministro e magari Giorgia Meloni suo braccio destro.
E’ possibile, forse probabile, che l’incubo si materializzerà, malgrado i vari stratagemmi parlamentari di cui si legge per evitare il voto subito e così scongiurare o ritardare il prevedibile trionfo leghista. Il centrosinistra italiano sembra destinato a un tempo ulteriore di opposizione. Quanto durerà dipende da cosa gli capiterà intorno, ma dipende anche e molto da se stesso.
In qualunque caso, un dato è innegabile: il centrosinistra per tornare competitivo deve ricostruirsi, adeguare i suoi programmi, ma prima ancora i suoi linguaggi e dove governa i suoi comportamenti, al mondo attuale.
Più d’uno, recentemente e con autorevolezza Walter Veltroni, ha invocato l’ambiente come uno dei terreni decisivi di questa ricostruzione, come una “nuova frontiera” irrinunciabile per ridare senso, consenso, futuro all’idea di sinistra. La sinistra da quando è nata s’identifica con ideali di “giustizia”, e oggi l’ambiente è un’immensa questione di giustizia: giustizia sociale – perché l’emergenza climatica, in generale i fenomeni di inquinamento, colpiscono per primi gli ultimi – e giustizia tra generazioni, per non lasciare ai nostri nipoti un pianeta invivibile. Ma per diventare ”green” non basta, al Pd e al centrosinistra, citare in discorsi e comunicati il “verde” come uno dei propri connotati. Devono fare molto di più, devono mutare sguardo sul progresso, sullo sviluppo, sull’economia, e per questo servirebbe loro, come accaduto in buona parte d’Europa ma non in Italia, il pungolo di una forza politica ecologista autonoma e credibile. Il cambiamento richiesto – richiesto non dagli ambientalisti ma imposto dalla realtà – è radicale. Se pensano davvero Pd e centrosinistra, come dicono spesso, che i ragazzi di “friday for future” hanno ragione, che affrontare l’emergenza climatica è compito prioritario per una forza che si voglia “progressista”, allora devono ridefinire intorno a questa priorità le loro ricette di politica energetica, di politica industriale, di politica dei trasporti. Da tale approdo il centrosinistra italiano è lontanissimo. Per dire: negli anni del Pd al governo del Paese, 2013-2018, l’ambiente è rimasto totalmente ai margini dell’agenda politica italiana, tra scelte palesemente deteriori – la campagna di Renzi a favore delle trivellazioni petrolifere – e non-scelte altrettanto dannose come la rinuncia ad ogni seria politica d’innovazione energetica a favore delle fonti rinnovabili che ha avuto nell’allora ministro Calenda il suo campione. Di questa arretratezza culturale e programmatica fa parte anche la posizione di sostegno acritico al Tav Torino-Lione: grande opera su cui il dibattito si è da tempo ridotto a una guerra stucchevole tra opposte tifoserie ma che un partito a vocazione ambientalista dovrebbe valutare con ben altra profondità. Si è a favore di quel tunnel costosissimo perché il treno è più ecologico di automobili e Tir? Benissimo, ma allora è un controsenso sponsorizzare contemporaneamente, come il Pd fa da anni, sia la nuova ferrovia Torino-Lione che il raddoppio, a pochi chilometri, del tunnel autostradale del Fréjus. Il no per principio alle grandi opere è, parafrasando Lenin, “malattia infantile dell’ambientalismo”; il sì a qualunque grande opera solo perché grande è un’opposta sindrome, “senile”, del riformismo novecentesco.
In generale, il problema del Pd e del centrosinistra può riassumersi così: deficit di contemporaneità. L’ambiente ne è un sintomo vistoso e dirimente, ma ve ne sono altri. Per esempio, l’onnipresenza maschile nei ruoli di comando. Inutile cercare una donna nel totonomi su chi guiderà la coalizione quando si voterà: non c’è. Che poi tra i due limiti citati corre un solido filo. Come scriveva anni fa il grande Antonio Cederna, “la natura è femmina”: per la politica tradizionale considerarla un bene primario è roba da “anime belle” (altro concetto femminile…). Ecco, se spuntasse una donna come leader di un rinnovato centrosinistra, facile che anche l’altra lacuna verrebbe in parte colmata, che l’ambiente sarebbe non più comparsa ma protagonista tra le parole sull’economia, sul lavoro, sulla “grande” politica.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE