Pubblicato su Il Pianeta Terra
All’indomani della conclusione della COP23 di Bonn si è aperto (il consueto) dibattito tra chi riteneva le conclusioni interlocutorie della stessa un’ennesima pericolosa perdita di tempo di fronte all’incalzare dei cambiamenti climatici e chi invece sottolineava i risultati raggiunti per esempio sugli impegni finanziari dei paesi ricchi nei confronti quelli più poveri e minacciati, guidati dalla Presidenza delle Isole Fiji, il fatto che la defezione trumpiana non aveva comportato alcun effetto negativo concreto (e che anzi gli americani erano presenti e attivi in forze con le loro rappresentanze di Stati e Città e con la loro business community) e più in generale nella impostazione dei documenti preparatori della prossima conferenza, la COP24 di Katowice, in Polonia, che si terrà alla fine del 2018 e che sarà davvero decisiva per rivedere gli impegni di riduzione delle emissioni di gas di serra.
Ma non sono solo le conclusioni delle conferenze internazionali ad essere controverse, sono piuttosto i segnali concreti che arrivano dal mondo reale ad essere contraddittori.
Da una parte si moltiplicano le notizie che confermano che la marcia verso la “fuoriuscita dall’era fossile” guidata dall’innovazione tecnologica è ormai irreversibile: in generale tutte le fonti rinnovabili diventano sempre più competitive; praticamente ogni giorno da qualche parte nel mondo il fotovoltaico batte i fossili nelle gare per nuovi impianti; l’eolico continua a crescere e le nuove tecnologie promettono interessantissimi sviluppi anche per off-shore; le grandi utilities elettriche europee (tra cui la nostra Enel) chiedono all’Europa di alzare il troppo timido target per il 2030 almeno al 35% della domanda (attualmente previsto al 27%); in Italia si attende solo l’ok dell’Europa al decreto (da troppo tempo atteso) per lanciarsi nella produzione di biometano (per cui si calcola un potenziale di ben 8 miliardi di metri cubi); i prezzi delle batterie – fondamentali per l’accumulo indispensabile per le rinnovabili non programmabili e per la rivoluzione elettrica nella mobilità – hanno avuto uno spettacolare calo (75% in meno in sette anni) e Bloomberg prevede che entro il 2025 scenderanno ancora a 100 $/kWh.
E però i fondamentali della lotta ai cambiamenti climatici non sembrano affatto volgere al bel tempo. E se il disaccopiamento tra “crescita del Pil” e “aumento delle emissioni” è ormai un fatto, lo scorso anno sono comunque tornate a crescere le emissioni globali dopo almeno un paio d’anni in cui si erano stabilizzate. Come sia possibile riuscire ad azzerare le emissioni entro il 2050 o meglio ancora come diventare carbon negative nella seconda metà del secolo come ci richiederebbero gli scienziati del clima, resta un mistero. O meglio resta un rebus, per la cui soluzione evidentemente non basta la spinta dell’innovazione tecnologica, dei cittadini sempre più attenti alle questioni legate all’ambiente, della business community più moderna, ma serve anche la politica.
In Italia è stata di recente approvata la SEN che segna senza alcun dubbio un enorme passo avanti rispetto a quella fumosa e negativa preparata dal Ministro Passera nel 2013, e contiene indicazioni assai positive come per esempio la chiusura del carbone al 2025, ma è ancora piena di prudenze e frenate per cui si limita a un assai deludente aumento obiettivo del 28% delle rinnovabili al 2030 rispetto al 27% già previsto dall’Europa, non crede molto alla rivoluzione nella mobilità, si ostina a lasciare un ruolo eccessivo al gas.
Come si diceva, siamo in piena campagna elettorale, ascolteremo molte promesse. Ma per fermare il cambiamento climatico e premiare l’innovazione tecnologica che porta sviluppo e occupazione servono fatti. Non abbiamo più molto tempo a disposizione.