Pubblicato su TuttoGreen
Un’occasione persa. Sembra la sintesi più efficace per commentare la conferenza stampa con cui Renzi qualche giorno fa a Palazzo Chigi si è presentato per “rilanciare” le rinnovabili. Un’occasione persa sia per la riconquista del consenso all’indomani di un brutto risultato alle elezioni amministrative – che era uno dei motivi dichiarati dallo stesso premier nell’annuncio dell’”evento” – sia, per noi tutti cosa assai più rilevante, per tracciare un’idea, una linea di politica industriale, magari fondata su una strategia energetica, ad oggi del tutto assente.In quella sede è stato detto che si stanziavano 9 miliardi in 20 anni per le rinnovabili e si sono presentati i progetti di investimento di tre aziende Eni, Enel e Terna. Ma se si va oltre le slides, ciò che resta è poco e non ha nulla a che vedere con il supposto “rilancio”.Le risorse vere (che vengono dalle bollette elettriche) sono in realtà solo 430 milioni che saranno rapidamente esaurite nei prossimi sei mesi non appena si potranno fare le aste previste dal decreto la cui firma è stata annunciata dal Ministro Calenda e che nei fatti arriva dopo quasi due anni di ritardo. Un decreto dove ci sono molte assurdità e mentre si prevedono tagli anche rilevanti agli incentivi per le vere rinnovabili, si mantengono in vita quelli inutili e anacronistici per gli inceneritori, si regalano soldi per la conversione degli zuccherifici, si rinuncia ancora una volta a semplificare le procedure burocratiche. Peraltro, considerando i tempi di realizzazione degli impianti, nemmeno 1 MW di nuove rinnovabili verrà realizzato attraverso la aggiudicazione di queste aste per tutto il 2017.E così anche per l’anno prossimo si confermerà il passo indietro della percentuale di produzione da energie rinnovabili cui abbiamo assistito dal 2015. Perché il fatto è che quando Renzi dice che siamo all’avanguardia in questo settore in Europa dice la verità, ma si scorda di dire che campiamo di rendita sul passato, e che purtroppo il trend positivo che ci aveva consentito di raggiungere il 40% di energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili, di cui quasi l’8% con il fotovoltaico (un record mondiale di cui si dovrebbe essere orgogliosi ai tempi della Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici), si è invertito.Sì: in questo campo si è davvero “cambiato verso” ma nella direzione opposta a quella che si sarebbe dovuto percorrere. Qui purtroppo infatti le idee, i comportamenti, le scelte politiche del Presidente del Consiglio sembrano una efficace metafora di una smarrita capacità di innovazione e visione del futuro.Renzi si presentò sulla scena politica italiana da “rottamatore” e nel suo discorso pubblico, nonché nei suoi programmi con cui vinceva elezioni fiorentine e primarie democratiche, erano centrali argomenti quali Green Economy, rinnovabili, consumo del suolo. Insomma sembrava efficacemente rappresentare, insieme al superamento di una vecchia classe dirigente “fossile”, la necessità che si dovesse marciare anche verso una modernità fossil free che, sul modello delle esperienze internazionali, più avanzate costruisse una nuova economia, oltre che una “nuova” politica. Invece da quando si è insediato a Palazzo Chigi le scelte concrete sembrano andare in una direzione diametralmente opposta e sostanzialmente conservatrice, più attenta agli interessi dei soliti big players che non di quel diffuso sistema di imprese italiane che ha puntato sull’innovazione tecnologica per fare efficienza, rinnovabili, chimica verde.Il primo segnale si ebbe con lo “spalmaincentivi” sulle rinnovabili. Un provvedimento inutile (il risparmio sulle bollette è stato come avevamo previsto inavvertibile e inavvertito) e scellerato in quanto come ogni intervento retroattivo ha scoraggiato investimenti come persino la non certo rivoluzionaria Assoelettrica ha certificato. Ma poi le cose, dal punto di vista del segnale politico, sono persino peggiorate con il decreto “sblocca Italia”, nel quale la sacrosanta idea di semplificare e sburocratizzare veniva declinata in favore di ricerca ed estrazione di oil&gas, realizzazione di inceneritori e di qualche infrastruttura (prevalentemente stradale).Come se fossero quelle – simbolo e materialità – della old Economy le opere da sbloccare. E l’economia circolare? I processi autorizzativi lunghissimi che fanno lievitare i costi per le energie rinnovabili? La mobilità sostenibile?
Nel frattempo, è vero, in Parlamento con un paio di anni di ritardo arrivava all’approvazione del “collegato ambientale” in cui c’erano un po’ di norme che dovrebbero favorire quel tipo di economia (e ora siamo in atteso dei soliti relativi decreti attuativi), ma nel sostanziale disinteresse di Renzi che mai ne ha fatto oggetto del suo discorso pubblico, se non in un ormai famoso tweet del 2 gennaio 2015 dove annunciava il Green Act. Ancora aspettiamo. E nel DEF adesso lo si prevede (forse) per il 2017.
Un disinteresse che ha portato Renzi a un clamoroso errore di posizionamento in occasione del referendum notriv. Dopo aver capito che le norme che liberalizzavano ricerca ed estrazione di petrolio e gas erano insostenibili politicamente e averci quindi rinunciato, invece di capire che marciare in quella direzione avrebbe comportato un’inevitabile perdita di consenso, da Palazzo Chigi non sono riusciti a evitare una consultazione su un quesito marginale e hanno preferito cullarsi in una facile vittoria (di Pirro) cavalcando l’astensionismo, piuttosto che comprendere che così si sarebbero allontanati ulteriormente da quelle fasce di elettorato più giovani anagraficamente, più moderne e dinamiche. Quelle stesse che in queste ore tutti osannano perché le più sagge nel Regno Unito e che infatti nel nostrano referendum mostrarono più propensione alla partecipazione.
Renzi sembra cogliere il segnale all’indomani della sconfitta alle amministrative quando scrive che tra le cose su cui si deve caratterizzare la nuova azione del PD ci devono essere proprio le energie rinnovabili. Ma invece fa questa conferenza stampa in cui parte da una battuta “si siamo al servizio di una lobby, quella delle rinnovabili”, per presentare un po’ di greenwashing dell’Eni che ha in programma di mettere pannelli fotovoltaici in 400 ettari di suoi terreni bonificati o da bonificare. Per carità, un segno dei tempi positivo che persino il nostro campione fossile debba iniziare a fare un po’ di rinnovabili. E poi i programmi di investimento (all’estero) di Enel su rinnovabili e la digitalizzazione dei contatori che si sarebbe comunque fatta in ogni caso. Per arrivare poi a presentare gli investimenti di Terna per la modernizzazione della rete.
Interlocuzione con chi fa (o vorrebbe fare) concretamente le rinnovabili e efficienza nel nostro Paese per capire cosa servirebbe davvero? Nessuna. Contatti con il Coordinamento Free (che riunisce tutte le associazioni di impresa di quei settori) che proprio in quelle ore organizzava sua assemblea annuale per ascoltare le proposte per il futuro che ci permetterebbero di raggiungere obiettivi ambiziosi? Zero. E così si torna a quando – sin dai tempi della Prima Repubblica e quasi senza soluzione di continuità – le scelte energetiche del nostro Paese erano affidate a Enel ed ENI.
Certo per fortuna almeno l’Enel è cambiata reagendo a ciò che succede nel resto del mondo e oggi è una delle più grandi utilities globali impegnate sull’innovazione. Ma che senso ha affidare agli interessi parziali di due imprese private scelte collettive? Sarebbe mai possibile nel resto del mondo? Merkel presenta la Energiewende insieme alle utilities tedesche? O piuttosto un Governo dovrebbe capire quali sono le prospettive future più promettenti, prendere sul serio ciò che viene detto nelle conferenze internazionali, comprendere che ormai i “fossili sono dalla parte sbagliata della storia”, studiare il sistema imprenditoriale italiano che anche in questo caso è fatto di piccole e medie imprese innovative (spesso costrette a lavorare all’estero), e cambiare una strategia e energetica vecchia per scegliere la modernità? Qui sta l’occasione persa. Il mondo va avanti. Noi rischiamo di restare indietro.