Analisi dei risultati del referendum notriv

pubblicato sulla rivista QualEnergia

Al referendum del 17 aprile non si è raggiunto il quorum. Questo il dato di fatto. Ma quali le conseguenze? Intanto un fatto positivo – da qualsiasi parte la si voglia guardare – è che almeno per poche settimane le questioni legate alla strategia energetica di cui il Paese si dovrebbe dotare sono state al centro del dibattito pubblico. D’altra parte, come d’altronde era forse inevitabile, questioni di schieramento politico – o persino di scontro all’interno di uno stesso partito – hanno un po’ inquinato quel dibattito e non hanno consentito che si potesse davvero discutere del merito. Ma cosa era in ballo con il referendum? Tre i punti a mio avviso: ovviamente la durata delle concessioni di estrazione entro le 12 miglia, la scelta originaria del Governo che con lo Sblocca Italia intendeva facilitare tutte le estrazioni oil&gas nel nostro Paese, e più in generale la strategia energetica del futuro prossimo.

Il primo punto, quello proprio del quesito, in realtà è ancora aperto visto che è assai dubbio che “concessioni perpetue” siano compatibili con le normative comunitarie e per questo il Comitato per il Sì ha immediatamente annunciato il ricorso UE. Per quanto riguarda il resto delle estrazioni il movimento referendario in realtà aveva vinto prima ancora di scendere in campo in quanto il Governo si era praticamente rimangiato tutte le norme pro-estrazione con la legge di stabilità 2016. Inoltre un prezzo del petrolio così basso era probabilmente il deterrente più grosso contro investimenti importanti in nuove attività di ricerca.

Resta la questione più generale della strategia energetica. E da questo punto di vista il non raggiungimento del quorum potrebbe apparire come una sconfitta delle ragioni delle rinnovabili e dell’efficienza contro i fossili. Ma i fatti hanno la testa dura e già la settimana successiva due eventi internazionali si sono incaricati di confermare invece che la strada tracciata è quella che porta a un’economia low carbon. Quella settimana si é aperta infatti con il fallimento del vertice dei paesi produttori di petrolio a Doha e si é conclusa a New York con firma all’ONU , nella Giornata della Terra, dell’accordo di Parigi della COP21.

Nella penisola arabica si é confermato che le attuali condizioni politiche ed economiche rendono assai difficile, per alcuni osservatori impossibile, un accordo globale che riducendo l’offerta faccia risalire il pezzo del petrolio. Sul fronte dell’offerta sono molte le forze contrarie a una riduzione. Basti pensare al ruolo dell’Iran che liberandosi delle sanzioni ha solo il desiderio di aumentare quantità di esportazioni. Ma ciò che rende ancora più distante l’obiettivo di amento del prezzo del petrolio é la dinamica della domanda. Perché il percorso che da questa parte del mondo e in USA attraverso efficienza e rinnovabili, rese sempre più convenienti dall’innovazione tecnologica, conduce alla riduzione dei consumi é inarrestabile. Ma, forse ancor più rilevante, anche il trend di crescita che negli ultimi anni in Cina, in India, in tutti i paesi cosiddetti emergenti, aveva comportato forti aumenti di consumo di fossili (tra cui quello più inquinante, il carbone) si è arrestato. E ormai il disaccoppiamento tra crescita globale del Pil ed emissioni di anidride carbonica é un dato di fatto.

La Cina dopo essere diventata il più grande ” inquinatore” al mondo é ora il Paese che investe più risorse in rinnovabili. E lo scorso anno (anno record per gli investimenti mondiali in rinnovabili che hanno superato i 280 miliardi di dollari) per la prima volta le risorse investite in questo settore sono state maggiori nei Paesi di più recente industrializzazione che in quelli “ricchi”.

Quindi il combinato disposto di un’offerta difficile da controllare e una domanda che smette di crescere e che quando – molto presto vista la rapidità delle innovazioni – attraverso forme di mobilità nuova si aggrediranno anche i trasporti inizierà a ridursi sensibilmente, rende vana la speranza di molti di una risalita del prezzo del petrolio.

D’altra parte il 22 aprile a New York si ē certificato ciò che già a Parigi a dicembre era apparso chiaro più che mai: i fossili sono ormai dalla parte sbagliata della Storia.

E allora la scelta del nostro Governo, prima nel 2014 di puntare tutto sulle estrazioni di oil&gas, e ora al referendum di invitare all’astensione per non far raggiungere il quorum e non cogliere quindi l’occasione per cambiare strada, per “cambiare verso” per davvero, é una dimostrazione di miopia grave.

Renzi durante la campagna referendaria e poi di nuovo a New York in occasione della firma degli accordi sui cambiamenti climatici ha sostenuto che sostenere l’opportunità di continuare a favorire le trivellazioni non fosse in contrasto con la scelta delle rinnovabili e ha anzi rivendicato il primato dell’Italia in questo settore (il 40% circa dei consumi elettrici, il record del mondo dell’8% ricavato da fotovoltaico), ma ha “dimenticato” di dire che quei numeri sì o stati raggiunti da scelte politiche che risalgono a 10 anni fa (ai tempi del governo Prodi) e che poi sono state ostacolate da tutti i governi successivi compresi il suo. Che anzi ha brillato in porre ostacoli: gli interventi retroattivi dello spalmaincentivi (su cui si pronuncerà la Corte Costituzionale a dicembre), la mancata emanazione del decreto sugli incentivi alle rinnovabili non fotovoltaiche che si attende dal 2014, il ritardo nella riforma del conto termico (il cui pasticcio ha causato lo spreco di 900 milioni inutilizzati), la riforma delle tariffe elettriche che penalizza l’autoproduzione, la mancata definizione delle norme che consentirebbero di dare valore alla produzione di biometano e ne permetterebbero la diffusione attraverso la rete.

Ha un bel dire il presidente del consiglio (ricordando una sua promessa ai tempi delle primarie) che il suo obiettivo é arrivare al 50% delle rinnovabili entro questa legislatura. Se non cambiano radicalmente le politiche del Ministero dello Sviluppo Economico, l’approccio dell’Autoritá quella resta una vana promessa.

Le nostre imprese delle rinnovabili in questi anni hanno sofferto, si sono persi migliaia di posti lavoro (questi veri, non quelli immaginati legati alle trivelle), le più solide sono state costrette ad andare all’estero. Così oltre alla fuga dei cervelli abbiamo assistito anche a una fuga di una parte innovativa del nostro sistema imprenditoriale.

E i dati, implacabili, confermano la marcia indietro dell’Italia. Proprio mentre Renzi firmava l’accordo internazionale con cui il suo Governo si impegnava insieme a tutti gli altri a ridurre le emissioni di gas di serra, l’Ispra rendeva noti i dati sulle emissioni del nostro Paese nel 2015. Ebbene, in controtendenza con tutti gli anni precedenti dal 2008 e con i dati globali, in Italia le emissioni di CO2 sono aumentate. Del 2% in totale e del 3% nel settore energetico . Facile da spiegarsi visto che a fronte di una riduzione dell’idroeletrrico dovuta a minore pioggia nn c’è stato alcun aumento delle altre rinnovabili penalizzate dalle scelte governative. Ed é assai sconfortante questo risultato italiano in un anno dove il disaccoppiamento tra crescita del Pil ed emissioni si conferma come trend mondiale. Considerando che il Pil in Italia é cresciuto dello 0,8% , le emissioni sono aumentate di più del doppio!

Difficile bluffare con i numeri. Si vuole cambiare ed essere conseguenti con le promesse e con gli impegni tradizionali? Facile. Basterebbe smetterla di parlare di fantomatici Green Act (risale al 2 gennaio 2015 l’annuncio del premier) e dedicarsi ad atti concreti.

Proviamo a indicare una breve agenda di Governo che potrebbe impegnare le prossime settimane prima dell’estate.

  1. Emanare decreto incentivi fonti rinnovabili non fotovoltaiche , eliminando incentivi impropri e ingiustificati quali quelli previsti per inceneritori e zuccherifici, e fissando livelli adeguati per le rinnovabili vere
  2. Dare un valore al biometano e consentirne l’immissione in rete (si calcola che sarebbe possibile produrre 8 miliardi di metri cubi: quasi il 15% dell’intero consumo italiano)
  3. Cambiare radicalmente la struttura delle tariffe elettriche favorendo l’autoproduzione da rinnovabili e la generazione diffusa
  4. Emanare i decreti sull’efficienza energetica che implementano le relative direttive europee, dismettendo ogni tentazione di attacco ai titoli di efficienza energetica
  5. Emanare precise linee guida per il GSE che impediscano interventi retroattivi sia sulle rinnovabili che sull’efficienza
  6. Non ammettere i consueti ritardi nei decreti attuativi previsti dal collegato ambientale
  7. Copiare la Germania che nella fisiologica e benvenuta riduzione degli incentivi ha salvato quelli per lo Storage, ben sapendo che su Smart grid e accumulo si gioca una bella sfida tecnologicaCome si vede sono “suggerimenti” pragmatici, immediatamente attuabili e non costosi. Quasi di buon senso direi. Perché la rivoluzione energetica in atto ha questo di buono ha bisogno di poco per marciare. Ma la cosa più importante é smetterla di ascoltare le vecchie sirene fossili, magari a sei zampe. Quelli che provano a frenare per allungare la transizione in modo da potere godere un po’ più a lungo di profitti che oggi non hanno davvero più ragione di essere consentiti

 

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