pubblicato su huffington post.it
Una rosa è una rosa e un razzista è un razzista. Anche a Roma, anche a Tor Sapienza.
E’ vero: sono persone semplici, gente del popolo costretta a vivere da decenni in un quartiere che è degradato da sempre (e in ogni caso da molto prima che ci arrivassero gli immigrati). Ma quelli che a Tor Sapienza urlano insulti schifosi contro gli immigrati, minorenni compresi, ospitati nel centro di accoglienza, che vogliono cacciarli e non vogliono condividere con loro neppure gli stessi bar e marciapiede, che danno la caccia al “negro” e al musulmano per vendicare un tentativo di stupro compiuto da chi non è “negro” né musulmano, vanno chiamati per nome: spregevoli razzisti.
E’ una guerra tra poveri? Certo. L’atteggiamento pregiudizialmente anti-immigrati di buona parte degli abitanti del quartiere è lo sfogo di una condizione sociale degradata, il risultato di uno dei tanti esperimenti romani di “anti-urbanistica”? Sicuramente. Ma le spiegazioni sociologiche non cancellano un dato di realtà : a Tor Sapienza non tutti i “poveri” sono uguali. Quelli italiani stanno molto meglio degli stranieri, non sono dovuti scappare da casa loro per la miseria e le guerre e non si trovano privati di ogni diritto civile, sociale, politico. Poi è falso che tutti gli abitanti (italiani) di Tor Sapienza si riconoscano in quelle bande di esagitati e incivili, somiglianti non solo metaforicamente agli ultrà da stadio, che assaltano immigrati e forze dell’ordine; e sarebbe ora che i tanti di Tor Sapienza che razzisti non sono, escano allo scoperto, rifiutino ad alta voce l’etichetta di razzista che minaccia di restare appiccicata sul quartiere. Rifiutino di passare alla cronaca come una nuova Rosarno
La verità , bisogna dirsela e dirla, è che a muovere la barbarie dei razzisti di Tor Sapienza non è la povertà ma l’incultura. Fino a prova contraria i veri selvaggi sono loro, e l’unico rispetto cui hanno diritto è prenderli sul serio: considerarli non dei poveri idioti incapaci di intendere e di volere, ma delle persone che agiscono consapevolmente e che dunque hanno la responsabilità di ciò che fanno. Trattarli da vittime incoscienti sarebbe, questo sì, un insopportabile razzismo alla rovescia.
Forse ragionando in teoria è sensato ritenere che in un quartiere della periferia romana che già ospita un campo nomadi sarebbe stato bene non alloggiare anche centri per immigrati richiedenti asilo. Ma ora è tardi per ragionare in teoria. Ora la minaccia da scongiurare è proprio l’espulsione dei migranti da Tor Sapienza: sarebbe come dire a tutti i razzisti italiani reali e potenziali che basta tirare un po’ di sassi contro un centro di accoglienza per richiedenti asilo, o contro un campo nomadi, per ottenerne la cacciata da questo o quel quartiere. Oggi non c’è alternativa: il centro di accoglienza deve restare a Tor Sapienza, e tutti quelli che ne hanno il compito e l’animo devono impegnarsi per affrontare i problemi di convivenza tra italiani e stranieri. Questo deve fare il Comune, questo devono fare tutte le istituzioni coinvolte, questo dovrebbero fare le stesse forze politiche.
Purtroppo la politica a Roma o ha il volto impresentabile di “Casa Pound” e di chi la spalleggia, oppure ha il volto invisibile del Pd. Già il Pd: che nel suo patrimonio genetico e anche nel suo statuto ha scritti a grandi lettere i valori dell’accoglienza verso gli ultimi, del rifiuto di ogni forma di razzismo, e che invece di dare voce e speranza a quella parte dei cittadini che a Roma e pure a Tor Sapienza sono indignati dalle ronde contro i “negri”, è molto più preoccupato di approfittare di questa scossa per regolare conti interni, soprattutto per mettere sotto tutela o addirittura costringere ad andarsene il “suo” sindaco da sempre mal sopportato.
A Tor Sapienza, alla fine, sono andati il Sindaco Marino e il vicesindaco Nieri. C’è andata, per portare solidarietà ai migranti, la deputata Sel Celeste Costantino (calabrese ed eletta in Piemonte…). I dirigenti del Pd romano no, erano impegnati in riunione al Nazareno per discutere del rimpasto di giunta.
Infine, in questa triste vicenda compare un altro protagonista indecente: il ministro dell’interno Alfano. Il diritto d’asilo è sacro e non negoziabile, è un istituto giuridico vecchio di millenni che protegge chi scappa da Paesi dove non può più vivere. Solo un personaggio come Alfano – lo stesso del caso Shalabayeva e dei finti funerali per i 300 migranti sepolti nel mare di Lampedusa, lo stesso che vuole cancellare “Mare Nostrum” (nel silenzio del capo del suo Governo) – poteva dire, come ha detto ieri in televisione, che la soluzione per i richiedenti asilo è organizzare campi profughi direttamente in Africa.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE