pubblicato su huffingtonpost.it
Un’idea che sia di futuro e sia al tempo stesso di sinistra, cioè legata ai valori di libertà , uguaglianza e fraternità che “ab origine” definiscono la sinistra e la distinguono dalla destra. Questa la medesima sfida con cui si sono cimentate le due piazze contrapposte di questo fine settimana: la piazza reale di San Giovanni, quella virtuale ma comunque affollatissima della Leopolda. Premesso che si è trattato di due grandi e belle prove di democrazia, e che in particolare si deve rispetto e anche riconoscenza per le migliaia di giovani e di ragazzi che partecipando alle manifestazioni di Roma e di Firenze hanno testimoniato una provvidenziale e talvolta disperata voglia di “buona politica”: premesso questo, noi pensiamo che in entrambi i casi si sia trattato di sfide mancate.
Era di sinistra ma non era di futuro l’idea affermata dal palco di San Giovanni: appiattita unicamente sulla difesa irriducibile delle conquiste passate del movimento sindacale, incapace di prendere atto che oggi la dimensione dei diritti, dell’equità , della qualità sociale, soprattutto per i giovani, non è più identificabile con la sola dimensione del lavoro e tanto meno con la sola dimensione del lavoro dipendente classico (un posto fisso fino alla pensione). Un’idea irrimediabilmente datata, che ha trovato un simbolo perfetto nella scelta di Susanna Camusso di concludere il suo comizio con lo stesso slogan – “Al lavoro alla lotta!” – che chiudeva fino a trent’anni fa tutte le grandi manifestazioni del Pci.
Era di futuro ma non era di sinistra l’idea della Leopolda. In un anno l’agorà renziana si è trasformata da happening di rottamatori scapigliati in una specie di palestra tecnocratica in cui istruttori non proprio estranei all’establishment – da Davide Serra a Patrizio Bertelli – hanno spiegato ai convenuti come si fa nella vita ad “arrivare”. Su tutto aleggiava poi la sentenza renziana pronunciata a inizio kermesse: “Qui c’è l’Italia che lavora, il lavoro non si crea con le manifestazioni”. Ora, se esiste un concetto totalmente inconciliabile con qualunque alfabeto di sinistra è questo: chi si oppone alle scelte dell’ordine costituito sono “gufi” o perdigiorno…
Due le spiegazioni possibili per le sfide mancate di Piazza San Giovanni e della Leopolda. La prima è che nel tempo in cui viviamo le due parole, futuro e sinistra, non siano componibili. Del resto non è scritto nel cielo che lo siano sempre. Ci sono state epoche – per esempio gli anni della costruzione del welfare in Europa o la stagione delle lotte per l’indipendenza contro il colonialismo in Africa – in cui la destra era fuori dalla storia, ce ne possono essere altre in cui fuori dalla storia è la sinistra.
La seconda spiegazione è che sia la Leopolda che la Cgil di San Giovanni abbiano dato al rebus di cui sopra – costruire un futuro di sinistra – risposte errate o radicalmente incomplete. Noi pensiamo che le cose stiano più così. Per fare un unico esempio – che ci sta particolarmente a cuore – di questa inadeguatezza comune alle due piazze, basta dire che in entrambe è stato letteralmente ignorato uno dei più grandi temi contemporanei: la crisi ecologica che minaccia l’umanità non meno di quanto la recessione colpisca l’Europa, la green economy come via maestra per ricostruire in Italia una realistica e duratura prospettiva di sviluppo (e bisogna aggiungere: di lavoro).
Questioni decisive per conservare senso alla stessa nozione di progresso. Questioni del tutto assenti sia dall’orizzonte della Camusso e di quasi tutto il sindacato, sia da quello di Renzi che anzi, da capo del governo, si sta muovendo in direzione opposta (vedere il programma di un via libera generalizzato alle trivellazioni petrolifere e invece gli ostacoli frapposti allo sviluppo delle energie pulite). Ecco, per rimanere a questo esempio noi siamo convinti che senza l’ambiente, l’ecologia, la green economy al centro non ci possano essere né futuro desiderabile né sinistra plausibile. Se qualcuno nella sinistra di casa nostra, renziana o no, pensa lo stesso, forse si può provare a ripartire da qui.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE