pubblicato su greenreport.it
Ragazzi, siamo nei guai! Direte: “hai scoperto l’acqua calda, la crisi dura da almeno sei anni!”. Vero, ma a Bruxelles tra ieri e oggi è successo qualcosa che certifica un arretramento, una mancanza di visione della prospettiva futura forse persino più grave delle difficoltà che viviamo. La questione fondamentale, per chi prova ad avere uno sguardo lungo, è “come si esce dalla crisi” , quale prospettiva “nuova” dare al futuro, non tanto la crisi in sé stessa. E allora, oggi siamo più nei guai di mai.
La crisi é globale, si sa. Ma proviamo a guardarla dall’Italia. Alla vigilia della crisi finanziaria Usa – che poi scatenò quella economica e sociale che ha investito l’Europa e che ora minaccia persino gli “emergenti” – in questo Paese grazie al Conto energia e poi alla riforma complessiva degli incentivi alle rinnovabili, che costruimmo nel 2007, avviammo una rivoluzione in quel settore fondamentale che è il mercato elettrico, di cui vediamo gli effetti dispiegati adesso (quasi il 50% della produzione di elettricità da rinnovabili), e che prima che Scajola-Passera-Zanonato-Guidi(Renzi) si scatenassero con le penalizzazioni (persino retroattive) aveva costruito oltre 100mila posti di lavoro.
Pochi mesi dopo, si parva licet… con l’elezione di Obama, “yes we can”, avevamo potuto sperare che la potenza per eccellenza, quella che aveva ostacolato Kyoto, cambiasse politica e affrontasse davvero con radicalità la sfida dei cambiamenti climatici. Speranza vana: arrivò Copenaghen nel 2009 a raccontarci di uno stallo nelle trattative internazionali. Ma per chi pensa che le ricette per affrontare i cambiamenti climatici in atto (più innovazione per incrementare rinnovabili ed efficienza, al fine di ridurre le emissioni di gas di serra) siano le stesse che, con la scelta più ampia a favore della green economy, permettano l’uscita dalla crisi economica, restava il faro dell’Europa. Guidata dalla Germania e dalla sua Energiewende, che marciava decisamente verso una società low carbon ed esercitava una leadership tecnologica che le garantiva, almeno in questa campo, una supremazia globale.
Con il vertice Ue in corso abbiamo subito un grave colpo. A Bruxelles Merkel ha scelto di darla vinta a Cameron (presidenza italiana e Renzi latitanti) e si fissano targets al 2030 talmente timidi (-40% CO2, più 27% rinnovabili – ma obiettivi non vincolanti a livello di Stati membri -, e un non vincolante 27% di incremento dell’efficienza) che praticamente si raggiungeranno “business as usual”, senza alcuno sforzo virtuoso di riconversione.
Merkel forse pensa che tanto in Germania fa come gli pare e che la leadership nel settore la eserciti da sé: “le rinnovabili in un solo Stato”. Ma per il secondo paese manifatturiero d’Europa (che siamo noi) guidato da una classe dirigente e da un sistema politico che di questi temi non si occupa affatto e quando lo fa pensa a follie come le “trivelle libere” che vuole Renzi, la notizia europea è una sciagura.
Tutto perduto quindi? Non credo proprio. Appunto ieri è arrivata la notizia che per il primo anno c’è stata una riduzione del consumo di carbone in Cina: il Paese che improvvisamente è diventato leader negli investimenti delle rinnovabili e che riduce di anno in anno la sua intensità energetica.
L’innovazione tecnologica inevitabilmente ci porta verso una società fossil free, ed è (sarebbe, mi vorrei ostinare a scrivere) un peccato non coglier l’occasione, non permettere al know how accumulato in questo Paese di non poter giocare da protagonista questa sfida da protagonisti.
Allora nonostante Bruxelles e nonostante il nostro #governofossile, la speranza che il mondo reale, l’economia più vivace, abbia ancora la chance di vincere noi la vogliamo nutrire ancora.