IL CLIMA DEL G8

Il duro scontro, perché di questo si tratta, consumato in questi giorni al G8 tra Unione Europea e Bush su come affrontare la questione dei mutamenti climatici non è né nuovo né inaspettato: sono ormai anni che le strategie di UE e Usa sul tema divergono. Ma è una novità  che tali differenze siano strate centrali nelle trattative e nel vero e proprio conflitto tra USA e UE. Il compromesso con cui si è chiuso il vertice, come troppo spesso avviene nei G8, serve più a evitare un devastante fallimento d’immagine piuttosto che a sanare la sostanza di quel conflitto.

Il punto è che i Governi, i leader, le classi dirigenti dei più ricchi e importanti Paesi del Mondo hanno colto che è proprio su come combattere l’aumento dell’effetto serra, innanzitutto sulle scelte di politica energetica e sui trasporti, che si rimodella il futuro dei nostri sistemi industriali. Così allora si capisce meglio lo scontro tra chi – l’Europa (Germania, Inghilterra, Spagna a far da traino con i fatti e l’Italia, in ritardo sulle scelte concrete, ma almeno con una chiara scelta di campo sul piano politico) – vuole svolgere un ruolo da protagonista e pensa di puntare sull’innovazione, il risparmio energetico, la promozione delle fonti rinnovabili per muoversi in direzione dell’uscita dall’”era dei combustibili fossili” (come recita testualmente il piano del Governo britannico) e con queste scelte competere sul mercato globale e chi invece – il Governo Bush – forte della propria forza attuale ha scelto di assecondare le richieste delle potenti lobby domestiche del petrolio per resistere all’aggressività  delle economie emergenti (la Cina innanzitutto) che, grazie anche al regime non democratico che permette scelte anche sconsiderate sul piano del rispetto dei diritti fondamentali dei propri cittadini, considera che il (giusto) perseguimento della crescita interna può trascurare la difesa dell’ambiente locale e globale.

A nulla sino adesso sono valsi gli sforzi diplomatici tesi a convincere il Governo Bush a cambiare strada, nonostante che grandi Stati Usa (prima fra tutti la California) e pezzi molto importanti anche del sistema industriale statunitense stiano facendo scelte molto più in linea con la posizione europea che con quella del loro Presidente. E ormai pare evidente che chi ritiene che scelte innovative in questo campo siano davvero decisive per il futuro del Pianeta non può che augurarsi la vittoria dei Democratici alle prossime elezioni americane. Per questo ritengo del tutto coerente partecipare al sit in previsto domani in Piazza del Popolo a Roma, insieme alla mia associazione Legambiente,  non solo per ribadire la nostra contrarietà  alle scelte di politica estera di Bush a partire dalla sventurata guerra in Irak, ma proprio per mettere al centro della mobilitazione anche in Italia la questione dei mutamenti climatici. Non solo le guerre ma anche la questione ambientale globale dimostra che nel mondo interdipendente in cui viviamo le scelte del Governo del Paese più ricco pesano non solo sulla vita dei cittadini di quel Paese ma anche sulle nostre o (fatto eticamente ancor più sensibile) con quelle di centinaia di migliaia di uomini e donne che vivono nell’Africa sub-sahariana e sono costretti ogni anno ad abbandonare le proprie terre divorate dalla desertificazione.

Per questo è giusto che i Democratici contestino quel Governo. A Washington come anche a Roma.