Su un punto Berlusconi ha ragione da vendere: il guaio della sinistra italiana è che a guidarla sono ancora i “comunisti”. Secondo lui questo dimostra tutta la sua pericolosità , invece è la base principale della sua debolezza. Sono comunisti perché continuano a misurare lo sviluppo e il progresso secondo categorie che separano struttura – il lavoro, la condizione materiale delle persone – e sovrastruttura – la legalità , la cultura, l’ambiente, la dimensione immateriale del benessere; sono comunisti perché sempre in ritardo sulla realtà che cambia: al contrario del celebre aforisma di Rilke, “il futuro entra in loro molto dopo che accade”; sono comunisti perché pensano l’economia come si pensava un secolo fa: non più “soviet e elettrificazione” ma comunque carbone (Ilva e dintorni), asfalto, cemento; sono comunisti perché occupati costantemente a mostrare che non lo sono più, il che li spinge – dal Quirinale all’ultimo sindaco – a idolatrare il compromesso, a compiacere ogni genere di interesse costituito e di potere forte (palazzinari, Riva, Colaninno…), a rifuggire da qualunque radicalità si chiami patrimoniale o stop al consumo di suolo o diritti dei gay; sono comunisti perché si sentono molto migliori del “popolo”, del popolo rozzo e ignorante che si fa infinocchiare da Berlusconi o da Grillo; sono comunisti perché, a imitazione del glorioso Pci, se devono scegliere tra un democristiano conservatore e rassicurante come Letta e un azzardato e inusuale innovatore come Renzi, vanno immancabilmente, per dirla con Bersani, sull’usato sicuro.
Rimane da capire se questo Pd a trazione cripto-comunista sia frutto pure lui del ventennio berlusconiano, un suo sgradevole effetto collaterale come le bombe intelligenti che quasi sempre ammazzano anche un bel po’ di civili. Ipotesi affascinante: vorrebbe dire che uscito di scena il Cavaliere – prima o poi succederà – persino in Italia scopriremo l’emozione di avere una sinistra che fa la sinistra, cioè che prova a cambiare il mondo.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCOFERRANTE