pubblicato sulla Staffetta Quotidiana
Le opportunità offerte dallo straordinario sviluppo dell’innovazione tecnologica, tra i molti effetti positivi, contribuiscono anche a un paradosso: lo scarto sempre più evidente con politiche che restano sempre arretrate. Un paradosso che appare più evidente proprio in campo energetico. Da una parte sembra sempre più vicino l’avverarsi della profezia di Ahmed Zaki Yamani, storico “ministro degli esteri” dell’OPEC all’epoca delle crisi petrolifere degli anni 70, per cui “l’età della pietra non si concluse per l’esaurirsi delle pietre, ma a causa dell’innovazione tecnologica che è il vero nemico mortale dell’OPEC”; dall’altra le politiche concrete in campo energetico sembrano attardarsi nella difesa del grumo di interessi “fossili” senza percepire a pieno la valenza, anche di sviluppo e nuova occupazione, oltre che i benefici effetti ambientali, che fonti rinnovabili ed efficienza energetica potrebbero avere per l’intero sistema-paese.
Quando, nel 2007, si mise finalmente mano a una riforma delle politiche di incentivazione delle rinnovabili elettriche, varando un efficace conto energia per il fotovoltaico e intervenendo sulle altre forme di incentivazione, nessuno era in grado di prevedere quella vera e propria esplosione che ha portato in pochissimo tempo, non solo a colmare il gap – allora assurdamente negativo – che si doveva affrontare nei confronti di altri paesi europei (Germania e Spagna in primis), ma anche a battere vari records, la quantità di fotovoltaico istallato in un solo anno ad esempio, fino ad arrivare ai quasi 100 TWh di produzione da rinnovabili che è lo stupefacente (se la volessimo guardare da quel 2007) numero di oggi, che ci ha fatto superare gli obiettivi posti dallo stesso Piano di Azione Nazionale sulle rinnovabili e ci mette in grado di raggiungere tranquillamente gli obiettivi europei al 2020. Tutto bene quindi? L’innovazione tecnologica “vince” sulle prudenze della politica? No, affatto. La lentezza nell’adeguare il sistema di incentivazione, ha prima prodotto un effetto “bolla” per cui si sono mantenuti incentivi troppo alti in confronto ai costi, che diminuivano rapidamente, delle tecnologie impiegate, e poi per rimediare a quello stesso ritardo si sono scelti strumenti, aste e registri, che in pratica hanno determinato, stanno determinando un brusco stop a quel settore, che unico in questi anni di crisi drammatica, aveva dimostrato un suo potenziale anticiclico, e gli occupati degli scorsi anni anche qui si stanno trasformando in cassaintegrati.
Anche sull’efficienza energetica, che dovrebbe essere la prima gamba su cui fondare qualsiasi “strategia energetica”, se è vero che finalmente con il conto termico varato alla fine dello scorso anno si è imboccata un strada giusta e virtuosa, e che i titoli di efficienza energetica, seppur con qualche limite, hanno avuto in questi anni effetti positivi non trascurabili, come dimenticare le titubanze insopportabili che hanno impedito sino adesso la stabilizzazione di quella norma, semplice e sacrosanta, che è lo sconto fiscale per le ristrutturazioni edilizie con risparmio energetico? O quella straordinaria occasione persa a livello europeo, quando nel pacchetto 20-20-20, si rinunciò a rendere cogente proprio quell’ultimo 20 riferito alla percentuale di miglioramento dell’efficienza, attardandosi invece, Confindustria e Governo Berlusconi, in un battaglia perdente e di retroguardia contro l’approvazione del pacchetto stesso ?
Si potrebbe continuare a lungo nell’elenco degli esempi che rendono evidente il ritardo delle classi dirigenti italiane, e della politica in primo luogo, ma è forse più utile cercare di trovare una strada per colmare quella distanza.
Si scelga allora nell’implementazione della Strategia Energetica Nazionale, di abbandonare l’idea inutile e pericolosa per l’ambiente delle “trivelle libere”, e piuttosto si individuino gli strumenti concreti per avvicinare la gridparity per le rinnovabili. Si scelga con nettezza il gas quale fonte fossile di transizione, affidando alle più moderne centrali termoelettriche d’Europa, quelle a ciclo combinato, anche la funzione di backup, sfruttando la loro maggiore flessibilità e si abbandoni un a volta per tutto il carbone. Si affronti il problema del differenziale di costo dell’energia, tra l’Italia e i suoi concorrenti europei, ridisegnando in maniera più razionale i pesi sui vari settori (alleggerendo quello sulle piccole e medie imprese, le più penalizzate e il tessuto più prezioso del nostro sistema economico), depurando le bollette elettriche dagli oneri impropri (l’uscita dal nucleare, gli sconti per le ferrovie, ecc.) che più correttamente devono essere trasferiti sulla fiscalità generale, si eviti di pagare l’IVA sulla componente A3. Si spinga finalmente su politiche regolatorie che incentivino l’efficienza energetica, fonte di sviluppo e occupazione come recita il famoso e stracitato studio della stessa Confindustria.
Scelte nette, radicali che servirebbero a costruire quel futuro sostenibile, non più solamente necessario per l’equilibrio climatico del Pianeta, ma drammaticamente urgente per affrontare la crisi economica e sociale in atto. E’ questa la vera sostenibilità su cui la politica si dovrebbe impegnare