Oggi ha senso per il centrosinistra, e in particolare per il Pd, immaginare per sé un futuro socialdemocratico?
Cinquant’anni fa, quando la sinistra europea era quasi tutta socialista, solo in Italia mancava un forte, grande partito socialista. Oggi che la sinistra in Europa e nel mondo è molto di più e molto d’altro, la sinistra italiana smania per entrare nel “club” dei socialisti europei. Vendola ha appena formalizzato la richiesta di Sel di aderire al Pse, mentre il Pd già fa parte del gruppo socialista al Parlamento europeo (per entrare, ha chiesto e ottenuto che il Gruppo cambiasse nome in “Socialisti e democratici”). E ora questa stessa prospettiva, dare vita in Italia a un grande partito dichiaratamente socialista, anima l’idea di accogliere Vendola e il suo partito dentro il Pd.
Questa “asincronia” nel rapporto tra la sinistra italiana e il campo socialista dice parecchio sulle ragioni per le quali in Italia i progressisti non sono mai stata maggioranza. Non lo sono stati durante la prima Repubblica, quando la possibilità di un’alternanza tra Democrazia cristiana e partiti di sinistra alla guida del Paese venne sempre impedita dal fatto che da noi la sinistra, caso pressoché unico in Occidente, vedeva la presenza maggioritaria di un Partito comunista: quello che Alberto Ronchey battezzò il “fattore k”. Non lo sono stati nemmeno negli ultimi vent’anni, quando per governare hanno avuto bisogno o che il centrodestra fosse diviso, come nel 1996, oppure di allestire coalizioni “passepartout” destinate a vita scomoda e breve, come l’Unione del 2006 da Bertinotti a Mastella.
Oggi ha senso per il centrosinistra, e in particolare per il Pd, immaginare per sé un futuro socialdemocratico? Noi crediamo che ne abbia molto meno di ieri. Ha meno senso per due buone ragioni. La prima è nella genetica del Partito democratico, nato dall’Ulivo e dall’intuizione prodiana di collegare in un’unica, grande forza le due principali famiglie del progressismo italiano: i post-comunisti, che socialisti sono diventati solo tardivamente, e i cattolici eredi della sinistra democristiana, che socialisti non sono mai stati né, immaginiamo, intendano diventarlo adesso. A ciò si aggiunga che il Pd, quando nacque, dichiarò l’ambizione di guardare oltre le sue tradizioni fondative, insufficienti davanti alle sfide del nuovo millennio. La seconda ragione non riguarda solo l’Italia: è nel carattere sempre più plurale della sinistra in Europa e nel mondo. Una sinistra che si presenta con volti diversi: il volto, certo, dei partiti socialdemocratici, ma poi il volto liberal di Obama e dei democratici americani, il volto ecologista dei Grà¼nen tedeschi che nei sondaggi ormai tallonano la Spd. Insomma, l’alfabeto socialista non basta più per rappresentare adeguatamente i valori, i bisogni, gli interessi di chi si considera “di sinistra”. Per esempio, è del tutto insufficiente – e qualche volta è di ostacolo – per dare risposte convincenti a quei settori sempre più larghi dell’opinione pubblica, della società , della stessa economia europee per i quali l’ecologia e la green economy, e ancora prima una riconversione radicale dei nostri stili di vita e dei nostri modelli di produzione e di consumo verso la sostenibilità , sono la via maestra non solo per fronteggiare grandi problemi come i cambiamenti climatici o l’inquinamento, ma per ridare all’Europa speranza nel futuro, condurla fuori dal tunnel della crisi, conservarle un ruolo da protagonista nell’economia globalizzata.
Allora, mentre è naturale e va benissimo che i partiti socialisti di antica storia si tengano stretta la loro identità e provino semmai ad aggiornarla alla luce dei nuovi problemi e delle nuove domande del presente, è invece assai discutibile questa corsa italiana a salire sul treno socialista da parte di chi socialista non è mai stato. Lo capì bene nel 1989 Achille Occhetto, che quando decise con uno strappo dolorosissimo per tanti di cambiare nome al Partito comunista preferì l’aggettivo “democratico”, più generico e inclusivo, a “socialista”. Scelta in parte dettata da esigenze del momento (non darla apertamente vinta ai socialisti di Craxi) ma scelta comunque preveggente: rinnegarla dopo un quarto di secolo sarebbe l’ennesima anomalia italiana, costerebbe la rinuncia a rappresentare con completezza la sinistra e i tanti che vogliono un vero cambiamento, inevitabilmente porterebbe all’esplosione del Pd. “I merli con i merli e i passeri con i passeri”, disse una volta Bertinotti per evocare il suo no ad ogni mescolanza tra sinistra radicale e riformista: ma nel 2013 le varietà ornitologiche non si fermerebbero probabilmente a due,
Roberto Della Seta