L’ultimo assalto alla rivoluzione degli shopper

Pubblicato su www.greenreport.it

Una bella storia la cui conclusione sembra non arrivare mai. Questa sembra la vicenda del divieto degli shopper nel nostro Paese. Introdotto con il nostro emendamento alla finanziaria del 2007 sarebbe dovuto entrare in vigore nel gennaio del 2010. La lobby dei plasticari fece slittare il divieto di un anno, ma la Prestigiacomo, probabilmente con l’unico atto “ambientalista” del suo ministero, resistette alle pressioni e lasciò che finalmente dal gennaio 2011 fosse vietata la commercializzazione dei sacchetti di plastica “non biodegradabile”. Un successo e finalmente l’Italia all’avanguardia in Europa in un settore, quello della riduzione dei rifiuti, in cui storicamente siamo così indietro da meritarci infrazioni e multe salatissime. Ma un successo anche nel cambiamento degli stili di vita perché tutti i dati e le indagini confermano che da allora sono diminuite le vendite di shopper di qualsiasi natura e aumentato vertiginosamente il numero di consumatori che si recano a far la spesa con la propria sporta. E sembrava fosse un successo anche nell’ultimo obiettivo di quella modifica legislativa : sostegno e promozione della green economy attraverso lo sviluppo dei nuovi materiali biodegradabili e compostabili provenienti da materia prima vegetale e rinnovabile e non dai fossili. Ma qui il successo è stato dimezzato dal vero e proprio trucco (secondo l’italianissimo “fatta la legge trovato l’inganno”) messo in campo da un piccolo gruppo di trasformatori che si è inventato un meccanismo di additivazione chimica per rendere, secondo la propria autocertificazione, “biodegradabile” un sacchetto tradizionale. Con l’effetto paradossale, una vera e propria truffa, di vendere al consumatore un sacchetto di plastica, fatto a partire dal petrolio, al prezzo di quello davvero naturale. Si è reso quindi necessario il decreto del Governo del gennaio di quest’anno dove si è specificato , una volta per tutte, che ciò che può essere considerato ”biodegradabile”, e “compostabile” e che quindi può finire tra i rifiuti organici senza contaminarli, è solo il sacchetto fatto secondo le norme europee (UNI EN 13432). In quel decreto prevedemmo anche le esenzioni per i sacchetti evidentemente riutilizzabili (quelli abbastanza spessi da non essere considerati dal consumatore “usa e getta”) proprio perché non c’è alcun “accanimento ideologico” contro la plastica quanto invece la necessità  di scegliere “consumi intelligenti” e promuovere l’”innovazione”. Purtroppo con un colpo di coda della lobby alla Camera fu modificata la data di entrata in vigore delle sanzioni per chi continuava a commercializzare i sacchetti illegali, spostandola di un anno al Gennaio 2014. Risultato: in questo Paese abituato all’illegalità  quelle poche decine di aziende che stanno inondando il mercato di prodotti illegali, truffando i consumatori e provocando grave danno all’ambiente, hanno continuato a farlo in maniera indisturbata. Storia infinita sembra quindi, ma finalmente con l’ultimo decreto “crescita” il Governo ci ha ascoltato e riportato all’1 gennaio 2013 la data da cui scatteranno le sanzioni. Ed ecco che la lobby in un ultimo disperato tentativo di salvare se stessa si inventa che sarebbero a rischio migliaia di posti di lavoro e che ci sarebbe un’infrazione europea in corso. E’ necessario quindi fare per un’ennesima volta chiarezza su queste due bugie: i posti di lavoro a rischio sono qualche decina, perché la maggioranza delle aziende trasformatrici in questi sei anni si sono riconvertite e possono utilizzare film davvero biodegradabile, anche Plastic Europe ha dismesso la battaglia di retroguardia contro la “bioplastica”, e visto che anche un solo posto di lavoro perso in questo periodo sarebbe un dramma il Governo nel decreto del marzo scorso prevedeva anche incentivi per riconversione; l’”infrazione” europea si cui si parla è una semplice “lettera di richiamo” inevitabile visto che a Bruxelles è ancora in corso la procedura di revisione della direttiva europea sugli imballaggi e che in quell’ambito è stata avviata la consultazione per scegliere quale il modo migliore per ridurre l’utilizzo di shopper in plastica (obiettivo unanimemente condiviso)e tra gli strumenti esaminati c’è anche il “divieto italiano” che viene considerato una best practice.
L’auspicio e il nostro impegno sono volti a permettere che questi semplici verità  sconfiggano quest’ultimo assalto della “controrivoluzione”

Sen. Francesco Ferrante