Scongiurare gli “attacchi nemici”. Si giustifica così, secondo molti dirigenti del Pd, l’idea di regolare in modo più rigido che nel passato la partecipazione alla primarie del centrosinistra. Dunque, norme apparentemente un po’ astruse come l’obbligo di pregistrarsi nelle liste dei votanti in luogo diverso dai gazebo o il divieto di votare nel ballottaggio per chi non ha votato nel primo turno, servirebbero ad impedire o a limitare il rischio che elettori estranei al centrosinistra si infiltrino nel nostro campo e inquinino le nostre scelte.
Ma davvero è questo il punto debole delle centinaia di elezioni primarie tenute finora in Italia dal centrosinistra? A noi non pare. Anzi, ribadito che l’esperienza delle primarie ha dato finora ottimi frutti risultando l’unica plausibile valvola di ricambio della classe politica in un sistema per il resto quasi immobile, va detto che se in alcuni casi le primarie hanno creato problemi, al Pd e a tutto il centrosinistra, questi sono venuti non dagli attacchi nemici ma dal fuoco amico. Era fuoco amico, un fuoco amico legittimo e salutare, quello dei tanti elettori democratici che a Genova, a Milano, a Cagliari hanno bocciato i candidati ufficiali proposti dal Pd per la carica di sindaco. Ed era fuoco amico, sparato dall’interno delle nostre nomenklature e in questo caso un fuoco tutt’altro che commendevole, quello che a Palermo come a Napoli ha incistato nella partecipazione alle primarie modalità illecite, politicamente e forse anche legalmente illecite, di ricerca e organizzazione del consenso. Insomma e per intendersi: i cinesi portati a votare un anno e mezzo fa nei gazebo di Napoli non erano quinte colonne di Alfano o della Santanché, ma strumenti inconsapevoli del peggio della “nostra” politica.
Questi due problemi – la crescente distonia tra gruppi dirigenti e “popolo” del Pd e del centrosinistra, la presenza sostanziosa nelle nostre fila di “malapolitica” – non si fronteggiano riducendo la partecipazione alle primarie, ma allargandola il più possibile. E d’altra parte, regole che restringano la platea di chi fra due mesi voterà per scegliere il leader del centrosinistra, servono a scoraggiare non tanto gli attacchi nemici quanto i nostri elettori meno politicizzati: quelli che non hanno mai messo piede nella sede di un circolo del Pd o di altri partiti del centrosinistra, che sfuggono ad ogni controllo di capicorrente e capibastone, che non vivono di politica o per la politica ma semplicemente hanno voglia (se non è troppo complicato…) di dire la loro su chi li convince di più come capo dei progressisti. Altro che attacchi nemici: è di questi amici, un po’ distanti e quasi sempre molto incazzati, che in troppi nel Pd hanno paura.
Qui però c’entrano poco le primarie di fine novembre, il loro risultato, le loro conseguenze. Qui c’entra soprattutto una domanda: che senso ha, che senso avrebbe un partito che teme il giudizio libero e autonomo dei suoi elettori attuali o potenziali?
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante