Rio+20 si è concluso come era iniziato. Molto lontano dalle speranze suscitate dall’appuntamento di vent’anni fa, allora una vera svolta sul piano culturale ma anche politico, e con risultati assai insufficienti rispetto alle esigenze delle crisi economiche e ambientali in atto. Degli aspetti positivi, che pure ci sono nella dichiarazione finale, abbiamo parlato negli articoli pubblicati nei giorni scorsi sottolineando l’importanza della definizione della green economy equa e solidale quale “infrastruttura” su cui investire anche per combattere la povertà . Ed è forse utile fare qualche numero: secondo l’Onu la green economy è in grado di creare milioni di nuovi posti di lavoro, solo in Europa – dati della Commissione Europea – 20 milioni di nuovi occupati al 2020, tra cui 14 milioni nella manutenzione del territorio e nella conservazione della biodiversità , 2 milioni nell’efficienza energetica e 3 milioni nelle rinnovabili e il resto nella gestione dei rifiuti. E anche di quanto sia pronta la società civile – movimenti sociali e settori sempre più ampi della business community – abbiamo dato conto, semmai ce ne fosse stato bisogno, in questo giorni da Rio. Alla Cupola dos Povos, dove si è tenuto il “controvertice”, si Ä— andati oltre la protesta, peraltro in effetti assente dalle strade di Rio , se si eccettua la bella, civile e partecipata manifestazione organizzata dai sindacati giovedì pomeriggio, e si è preferito raccontare le buone esperienze di green economy dal basso, attente alle filiere e alla giustizia sociale. E anche nel vertice ufficiale , a parte qualche eccezione di fastidioso tentativo di green washing, la presenza delle imprese è stato fattore positivo di racconto della innovazione e di responsabilità . A fronte di ciò l’incapacità dei Governi di tradurre in impegni concreti una realtà che in questi vent’anni ha fatto comunque straordinari passi avanti, ha a che fare con i meccanismi decisionali inadeguati delle Nazioni Unite, con questioni di geopolitica – il ruolo dei Paesi emergenti (Brasile, Sud Africa, Cina, India) consapevoli della loro nuova forza, orgogliosi nel rivendicarla contro i ricchi, ma riluttanti o farne conseguire le responsabilità globali relative – e soprattutto risente del ruolo negativo dei poteri reali – tutti quelli legati all’economia del fossile, se vi pare poco – che si sentono minacciati dalla rivoluzione della green economy.
Se questo è il quadro, è alla politica, e in particolare a quella dei progressisti di tutto il mondo, che tocca trovare la strada per uscire dall’impasse, cogliere con coraggio le opportunità e costruire un mondo più giusto e a basso tenore di carbonio. A noi in Italia il compito di far cambiare strada già a questo Governo, che su questo fronte si sta dimostrando deludente (vedi alle voci fonti rinnovabili ed efficienza energetica in edilizia per esempio) , nonostante il positivo ruolo – svolto anche a Rio – dal Ministro Clini, e poi di proporre un programma per vincere le elezioni che consideri centrale davvero la green economy.. Spetta a tutta la sinistra europea considerare questo aspetto fondante nell’indispensabile riforma delle istituzioni, insieme alle nuove regole per le banche, al nuovo regime fiscale, al rafforzamento del ruolo del parlamento. Insieme, non dopo. Ed è anche, se non soprattuto, con questa speranza che dobbiamo guardare all’auspicata rielezione di Barack Obama e puntare sul fatto che voglia considerare il suo secondo mandato i quattro anni con cui potrebbe davvero passare alla storia, mettendosi alla guida di questa rivoluzione. Unico modo peraltro per provare a salvare il ruolo della nostra parte del mondo, quella ricca, quella che sullo sfruttamento delle fonti fossili ha fondato il suo benessere e che oggi, se non prendesse davvero la guida di processi che ci devono condurre a una nuova era low carbon, per una sorta di contrappasso rischia di essere spazzata via da quei paesi che per troppo tempo hanno pagato un prezzo troppo alto per garantirci le nostre comodità e che oggi insieme alla mostruosa crescita economica, stanno dimostrando che possono sorpassarci anche nelle tecnologie più innovative e promettenti. Una sfida difficile ma ineludibile, vale la piena giocarla questa partita: vincerla oggi è anche la risposta migliore per le generazioni future