Queste elezioni hanno due vincitori: il centrosinistra che strappa alla destra un gran numero di governi locali (Pd e alleati vincono in 85 dei 157 comuni dove si è votato con il doppio turno, mentre governavano soltanto in 55), e i “5 stelle” che in particolare con l’exploit di Parma – non un comune qualsiasi, ma la seconda città dell’Emilia e una delle capitali economiche e culturali del nord padano – dimostra di essere diventato molto di più di un gruppetto di urlatori dell’anti-politica. Il Pd deve guardare bene dentro entrambi questi dati. E’ legittima la soddisfazione per le tante vittorie “in trasferta” – da Como a Rieti, da Monza ad Asti, da Lucca a Brindisi -, ma restano e anzi crescono i segnali d’allarme. Cresce l’astensione, e questo – insieme all’esplosione delle liste civiche – ci fa perdere molti voti rispetto a quasi tutte le ultime elezioni (politiche, europee, regionali, amministrative); e si conferma una tendenza che già si era manifestata l’anno scorso: nelle grandi città vince il centrosinistra, ma eleggendo sindaci che spesso non sono del Pd e che talvolta il Pd non ha nemmeno sostenuto. Era successo nel 2011 a Milano, a Napoli, a Cagliari, è successo di nuovo ora a Palermo e a Genova.
Questi segnali di segno diverso e in parte contraddittorio non possono sorprendere più di tanto. Chiunque abbia girato un po’ per l’Italia in quest’ultima campagna elettorale ha potuto toccare con mano sia lo “squagliamento” in atto nel Pdl e nella Lega sia la diffidenza e la distanza crescenti verso la politica tradizionale e verso i partiti, tutti i partiti, che hanno trovato voce nel non voto e nel successo vistoso dei “grillini”. Così, verrebbe quasi da ringraziare la vittoria di Pizzarotti a Parma che almeno rende impraticabile per noi del Pd ogni lettura autoconsolatoria, e autoillusoria, dei risultati elettorali.
Per il Partito democratico, sottovalutare la rabbia, la disaffezione, il disprezzo verso chi fa il mestiere della politica che si vanno diffondendo in un numero sempre più grande di italiani, anche di italiani che si considerano di sinistra e di centrosinistra, sarebbe un errore mortale. Abbiamo poco tempo a disposizione, meno di un anno, per trovare risposte sensate e convincenti a questo disagio, risposte che fino ad ora non abbiamo nemmeno cercato. I dati del problema sono chiari: noi non intercettiamo un solo voto di quelli in fuga dal centrodestra, e ancora una volta – come era già successo a Milano, in Puglia, a Napoli in forma sempre diversa – si dimostra che per attrarre i delusi di Pdl e Lega non serve a nulla presentarsi come più “moderati”, più di “centro”. Non serve a Palermo, dove il voto seppellisce al tempo stesso l’alleanza del Pd con Lombardo e l’idea che le elezioni si vincano a tavolino giocando al puzzle delle alleanze; non serve a Parma dove – lo dicono le prime analisi dei flussi elettorali tra primo e secondo turno – i quattro quinti di quelli che avevano votato due settimane fa per i candidati del Pdl e dell’Udc hanno preferito l'”estremista” Pizzarotti al “moderato” e rassicurante Bernazzoli.
Se vogliamo mettere a frutto la lezione di questo turno elettorale, dobbiamo ripartire dal “basso” e da “fuori”. Dal basso mettendoci in ascolto dei nostri circoli: scopriremmo, per esempio, che per gli iscritti del Pd la “green economy”, l’attenzione ai beni comuni sono le vie maestre da battere per dare futuro all’economia e al lavoro, da battere senza se e senza ma anche contrastando le scelte recenti del governo Monti che rischiano di mettere in ginocchio migliaia di imprese che hanno scommesso sulle energie rinnovabili; o ancora, ci accorgeremmo che la base del Pd chiede posizioni molto meno caute su fronti delicati come la difesa dei diritti degli omosessuali o l’integrazione dei cittadini immigrati. Dobbiamo ripartire dal basso e anche ripartire da “fuori”, smettendola di perdere tempo con fumisterie improbabili e anacronistiche come “riscoprire la socialdemocrazia” e invece tornando alla vocazione originaria del Pd che contemplava tra l’altro scelte nette su temi oggi attualissimi quali la moralità pubblica e i rapporti tra politica e affari.
Grillo dice un sacco di sciocchezze, a volte urticanti e pericolose come quando minimizza la mafia o se la prende con gli immigrati. Ma i suoi elettori pongono domande di cambiamento che abbiamo il dovere e la necessità di accogliere. Finora evidentemente non lo abbiamo saputo fare. A Parma è suonata la campana dell’ultimo giro, abbiamo meno di un anno davanti per cominciare a correre.