Articolo di qualenergia.it
La vexata quaestio sugli incentivi alle rinnovabili è il peso sulla bolletta degli italiani. Su questo si batteranno fautori e avversari, con le loro opposte tesi, variabili e cifre. Però per molti, tranne che per una parte del Governo, questi sono comunque investimenti che andranno regolati ma mantenuti, per non distruggere quanto di buono fatto finora.
Leonardo Berlen
Non abbiamo più soldi, le imprese e i cittadini pagano troppo le bollette energetiche, quindi blocchiamo gli incentivi alle rinnovabili. Questo è lo schema che viene delineato per giustificare la sforbiciata agli incentivi e bloccare le aspettative di espansione delle rinnovabili in Italia. Che poi magari dietro ci siano altri interessi dei produttori da fonti tradizionali non vi è dubbio. Ma il dichiarato oggetto del contendere oggi è comunque il costo degli incentivi e il loro peso sulla bolletta degli italiani. Su questo si batteranno fautori e avversari delle rinnovabili, con le loro opposte tesi, se proprio vogliamo essere un po’ manichei.
Hermann Scheer ricordava sempre che questo scenario sarebbe arrivato prima o poi, e avrebbe chiuso l’epoca delle rinnovabili come mera ‘verniciatura di verde’ per energivori e ambientalisti, come fiore all’occhiello o ‘greenwashing’, potremmo parafrasare. Ma una volta che le nuove fonti avessero raggiunto una certa forza propulsiva, avvertiva, lo scontro sarebbe stato aspro. Ora ci troviamo in questo contesto e non è detto che i Governi stiano dalla parte dell’energia pulita, rappresentando spesso gli interessi dei grandi dell’energia, della conservazione. Nulla di nuovo, visto che in ogni passaggio culturale e tecnologico c’è chi resiste e chi punta al cambiamento. Questo processo è stato molto ben descritto da Scheer e non sarebbe male fare un ripasso di quanto il sociologo e politico tedesco ci ha lasciato in eredità , anche per capire il processo in atto.
Dicevamo dei costi. Gli incentivi per il fotovoltaico si stanno avvicinando a quasi 6 miliardi di euro l’anno, cui andranno aggiunti entro il 2012 altri 3 mld circa per le altre rinnovabili (quelle vere, mentre alle ‘assimilate’ premiate dal Cip6 andranno circa altri 1,3 miliardi). Il problema esiste. Ma come replicare responsabilmente a questi dati? Nel corso del recente convegno sugli incentivi alle rinnovabili organizzato il 23 marzo da Kyoto Club e GSE, sono emerse alcune posizioni e indicazioni interessanti, anche se non esaustive.
Francesco Ferrante, vicepresidente di Kyoto Club, ha spiegato come oggi gli oneri in bolletta attribuibili a tutte le rinnovabili elettriche siano pari a circa il 10%. In effetti stiamo dentro a un profondo cambiamento energetico: oggi un chilowattora su tre prodotto in Italia è generato dalle rinnovabili (un quarto se ci riferiamo al consumo). “Il settore delle rinnovabili elettriche si deve ormai assumere parte della responsabilità dell’intero sistema, perché non è più una nicchia o un settore marginale. Se in una domenica del prossimo luglio si potrà certamente coprire più del 60% dell’elettricità consumata con il solo fotovoltaico, vorrà dire che staremo assistendo a qualcosa di impensabile fino a poco tempo fa. Quindi avrà senso continuare a spendere denaro della collettività su questi settori se vincoleremo questi soldi alla crescita del settore e a un beneficio generale”, ha detto Ferrante. I Governi fanno i conti in modo corretto? “Esiste un più e un meno. Bisogna applicare al problema un po’ di algebra”, dice Ferrante.
Ma questa diffusione delle rinnovabili ha portato effetti positivi quantificabili? Ferrante, oltre a ricordare che si è registrata una diminuzione di importazioni di fonti fossili e un miglioramento nella diminuzione di emissioni e inquinamento, illustra anche il beneficio diretto sul prezzo dell’elettricità . “Fino a 3 anni fa il prezzo dell’elettricità in Borsa era caratterizzato da due picchi: uno tra le 11 e le 12 e uno tra le 18 e 19. Oggi il primo picco non c’è più, visto che la produzione è sempre più legata alla produzione da fotovoltaico, oltre che a un po’ di eolico”, spiega il vicepresidente Kyoto Club. “Dai dati del Gestore del Mercato Elettrico si può vedere – continua – che nel 2008, con un prezzo del petrolio simile a quello attuale e con pochissima elettricità da FV, il PUN (prezzo unico nazionale) era di 0,087 ‚¬/kWh, mentre nel 2011 si è abbassato a 0,072 ‚¬/kWh. Il PUN diminuisce perché scende fortemente il prezzo dell’elettricità di punta nelle ore mattutine”.
Vediamo cosa è successo per esempio il 16 gennaio 2012, come riportato dal sito GME. “Abbiamo avuto un prezzo medio dell’elettricità di 0,078 ‚¬/kWh e un prezzo massimo di 0,091 ‚¬/kWh, ma che si è registrato alle 18. Tre anni fa (2008) il prezzo medio era di 0,093, ma soprattutto va detto – sottolinea Ferrante – che il prezzo massimo fu registrato alle 11 ed era addirittura di 0,125 ‚¬/kWh. Questa differenza è attribuibile solo al fotovoltaico”, chiarisce Ferrante. “Siamo convinti che le rinnovabili sono il futuro e non avrebbe alcun senso costruire adesso nuove centrali termoelettriche, visto che già oggi moderne ed efficienti centrali a gas a ciclo combinato o a turbogas operano solo per un terzo delle ore rispetto a quanto previsto nei loro business plan”, ha concluso.
Puntare sullo sviluppo delle rinnovabili in Italia però richiede di rivedere subito gli obiettivi nazionali previsti dal PAN al 2020 che potrebbero essere facilmente raggiunti per la parte elettrica (ormai vicini al target 100 TWh/anno e 26% sui consumi finali) già nei prossimi mesi e senza considerare che gli obiettivi sulle biomasse termiche sono senza dubbio sottostimati e nei fatti già ampiamenti superati.
Necessario poi guardare oltre, almeno al 2030. Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club, ha spiegato che “a fine 2012 avremo 23-24mila megawatt di eolico e fotovoltaico, e questo ci obbliga anche ad affrontare i temi innovativi della gestione intelligente della rete che si pensava sarebbero stati demandati alla fine del decennio”. Terna per esempio ha già deciso di raddoppiare gli investimenti nei progetti per i sistemi di accumulo. Nasce quindi un potenziale e ampio business che coinvolgerà offerta e domanda di energia elettrica e che potrebbe vedere l’Italia in pole position, sempre se saprà cogliere le novità in atto.
Tullio Fanelli, sottosegretario del Ministero dell’Ambiente con delega all’energia, ha chiesto agli operatori delle rinnovabili di usare un altro approccio per fare i conti su costi e benefici prodotti dagli incentivi. Ha voluto ricordare come in qualità di rappresentante dell’Autorità per l’Energia aveva da tempo denunciato il pericolo della crescita smisurata degli incentivi, “ma ora va contemperata l’esigenza di controllare il loro trend con quella di non ammazzare il settore”, ha detto.
Fanelli ha spiegato che oggi per gli incentivi, che scarichiamo sulle bollette, stiamo spendendo più dell’intero costo di tutti i combustibili fossili (gas, carbone e olio) acquistati per generare energia elettrica. Per il Sottosegretario i conti allora vanno fatti per bene. “Non possiamo considerare solo i costi in bolletta per famiglie e aziende, ma dobbiamo anche comprendere gli effetti indiretti di questo aumento, che sarà inevitabile nei prossimi anni. Dobbiamo, cioè, considerare la loro incidenza sui prodotti che si acquistano: perché quello che le imprese pagano, se riescono, lo caricheranno sui prezzi. àˆ un’ingenuità e un errore determinare le incentivazione solo sulla base dei costi delle tecnologie. Peraltro tutte le rinnovabili hanno anche un beneficio ambientale importante, e ciascuna può avere ulteriori vantaggi misurabili in occupazione e in innovazione”.
Allora come districarsi in questa analisi per arrivare a scelte corrette e sostenibili in un momento in cui abbiamo bisogno di contenere gli oneri sui costi energetici, ma anche di non bloccare l’intero settore delle rinnovabili? “Bisogna uscire dalle semplificazioni – dice Fanelli. Fare i conti per bene significa anche far fare al settore delle rinnovabili un salto di qualità nell’analisi non solo energetica ma anche economica”. “Le incentivazioni sono, sia a livello pubblico che privato, una sottrazione di reddito disponibile e inducono comunque una riduzione del PIL”, spiega Fanelli. “Per la quota dei consumi che non è di importazione significa una riduzione del PIL. Poi si possono valutare i diversi effetti con un segno ‘più’ sul PIL. Per esempio se un componente è prodotto in Italia, possiamo contabilizzare un effetto positivo e reale. Ma anche sul bilancio dello Stato ci possono essere effetti negativi e positivi da considerare con attenzione”.
Va bene la complessità dell’approccio, ma allora che fare? Fanelli afferma che tutto sommato, nonostante il loro ammontare e la crisi che ci troviamo ad affrontare, i costi degli incentivi, secondo lui, sono investimenti e indurranno comunque una crescita del PIL, e, come tali, vanno sì modulati, ma mantenuti. “Decidiamo chi paga, magari non solo l’utente elettrico, vediamo anche come far pagare, ma non ci fermiamo, perché i danni che produrremmo sarebbero superiori al beneficio di non sottrarre ulteriore reddito disponibile”.
Vedremo se questo approccio, anche se prettamente economicista, sarà tra le variabili considerate dal Ministero dello Sviluppo Economico che al momento sembra invece essere molto deciso a dare un colpo di scure al comparto delle rinnovabili elettriche e termiche. Per questo è necessario che gli operatori e le loro associazioni sappiano comunicare in maniera pragmatica le loro ragioni, ma soprattutto sappiano muoversi compatte e unite, come ieri in un comunicato chiedeva Kyoto Club, perché questi sono gli anni, forse i mesi, decisivi per il futuro delle energie pulite in Italia.
Leonardo Berlen
27 marzo 2012