Acqua pubblica: regolamento Ministero Salute mette a rischio “Case dell’acqua”

Legambiente: “Rivedere norma per coniugare sicurezza cittadini e sostenibilità . Evitare un nuovo regalo a società  imbottigliatrici di minerali”
 
Con le “Case dell’acqua” in un anno in circolazione 620 mila bottiglie in meno
 
La sicurezza sanitaria dei consumatori è certamente prioritaria ma il regolamento messo a punto dal Ministero della Salute, che configura le “Case dell’acqua” (distributori pubblici di acqua anche gasata) come “somministrazione di bevande” equiparandole, di fatto, ai bar o altri esercizi commerciali e dunque sottoponendole alla stessa tipologia di controlli e procedure, rischia seriamente di compromettere la sopravvivenza di un progetto che fino ad oggi ha trovato ampio consenso tra i cittadini e indubbi vantaggi economici e ambientali. A poco meno di due mesi dal referendum sull’acqua del 12 e 13 giugno, Legambiente lancia l’allarme sui punti di distribuzione gratuita, ripreso anche in Parlamento con l’interrogazione dei senatori Ferrante e Della Seta che hanno chiesto ai Ministeri della Salute e dell’Ambiente di rielaborare la premessa del suddetto regolamento in modo che l’interpretazione non possa essere equivocata a scapito delle Case dell’acqua, e non crei problemi d’attuazione da parte degli enti locali.
“Con le ‘Case dell’acqua’ – ha dichiarato il responsabile scientifico di Legambiente Stefano Ciafani – i cittadini usufruiscono di un servizio pubblico in più, che fa apprezzare sia la qualità  dell’acqua sia l’economicità . Parliamo anche di un concreto esempio di sostenibilità , grazie al quale stanno cambiando le abitudini di migliaia di persone che in questo modo risparmiano e danno una mano all’ambiente, diminuendo la produzione e la circolazione di plastica e, quindi, le emissioni di CO2 in atmosfera”.
Legambiente ricorda, infatti, che ogni singola “Casa” eroga all’incirca 2.500 litri ogni giorno, che equivalgono a circa 1.700 bottiglie in plastica da un litro e mezzo. In un anno, quindi, prelevando l’acqua presso questi punti si risparmia l’uso di circa 620 mila bottiglie, che in termini di mezzi pesanti circolanti per il trasporto delle confezioni d’acqua significa 65 tir in meno su strade e autostrade. Inoltre approvvigionandosi a una “Casa dell’acqua”, ogni anno, si evita di produrre (e smaltire) 20 tonnellate di Pet e, di conseguenza, si risparmiano 35 tonnellate di petrolio che corrispondono a 30 tonnellate di CO2 e 350 chilogrammi di monossido di carbonio.
“Oltre all’aspetto ambientale – ha aggiunto Ciafani – in questo progetto c’è anche un valore sociale importante visto che molti di questi punti di erogazione sono diventati anche punti di aggregazione, elementi del nuovo paesaggio urbano, luoghi di diffusione della comunicazione tra Comune e cittadini”.
L’impatto della filiera delle acque in bottiglia invece è molto rilevante: infatti l’imbottigliamento di 12,4 miliardi di litri di acqua comporta ogni anno l’uso di circa 350 mila tonnellate di Pet, con un consumo di 700 mila tonnellate di petrolio e l’emissione di circa 1 milione di tonnellate di CO2 equivalente in atmosfera. Inoltre solo il 35% degli imballaggi in plastica sono raccolti in modo differenziato e avviati al riciclaggio: il restante 65% finisce in discarica o al recupero energetico. Infine, solo il 15% delle bottiglie di acqua minerale viaggia su ferro, il restante 85% viaggia sui tir con conseguente consumo di gasolio e produzione di CO2 e polveri sottili.
“Quello che chiediamo – ha concluso Ciafani –  è che si valutino attentamente tutti gli aspetti prima di imbrigliare le Case dell’acqua nell’estrema burocrazia che, in nome della salute pubblica, rischia di compromettere un progetto molto valido favorendo in modo del tutto ingiustificato l’industria dell’imbottigliamento delle acqua minerali