Pubblicato su Huffington Post –
Quando più di un secolo fa, nel 1891, papa Leone XIII promulgò l’enciclica “Rerum Novarum“, nell’establishment di allora non mancarono reazioni di fastidio o peggio di stizza. L’idea che la Chiesa, da secoli pilastro decisivo dello “status quo” sociale, sostenesse la necessità di regolare lo sviluppo e l’organizzazione dell’economia “capitalista” tenendo conto anche e molto dei diritti e dei bisogni dei lavoratori, fu vista da alcuni come un cedimento inaccettabile al nascente movimento socialista, da altri come una presa di posizione “anti-moderna” che cercava di imbrigliare il progresso.
Succede lo stesso con l’enciclica di papa Francesco “Laudato Si’”, che pone per la prima volta la difesa dell’ambiente e degli equilibri ecologici, nella politica come nella vita quotidiana, come un “dovere” cristiano. In America la destra repubblicana, “negazionista” da sempre sui cambiamenti climatici, accusa il papa di invadere il campo delle scelte politiche che non gli compete. Si unisce al coro persino il cattolico convertito Jeb Bush, candidato alle presidenziali, che ha diffidato Francesco: “Non mi faccio dettare la politica economica dai miei vescovi, dai miei cardinali o dal mio Papa”. In Europa e anche in Italia le reazioni di fastidio sono meno esplicite, ma il “papa verde” fa storcere la bocca pure a tanti “liberisti” nostrani . L’accusa a Francesco è la stessa che a fine Ottocento veniva mossa a Leone: “La Chiesa si occupi della cura delle anime ma lasci stare la politica”.
Questa insofferenza diffusa è tutt’altro che innocente. Il paragone non sembri azzardato: la svolta ecologista di questo papa può produrre effetti altrettanto profondi sulla società , sulla cultura, sulla stessa politica di quelli che vennero dalla “Rerum Novarum” di Leone XIII, manifesto di fondazione della dottrina sociale della Chiesa. Le parole del papa sono decisamente ingombranti non solo per la grande influenza morale di chi le pronuncia presso centinaia di milioni di cattolici in tutto il mondo, ma per due ragioni squisitamente laiche: possono dare una spinta formidabile – come fu per l’enciclica sociale di papa Leone – a rinnovare contenuti e confini dell’etica pubblica, e poi schierano la Chiesa in una competizione attualissima e quanto mai aspra, quella tra l’economia dominante negli ultimi decenni – finanza, energia dei fossili e del nucleare, industria pesante dal cemento all’acciaio alla chimica di vecchia generazione – e la nuova economia dematerializzata – energie pulite, chimica verde, nuovi materiali – in cui l’innovazione tecnologica è spesso colorata di “green”. Si tratta di due ordini d’interessi entrambi legittimi e del tutto inconciliabili: il primo resiste a trasformazioni, in parte dettate da immensi problemi ambientali come il cambiamento climatico, che lo condannano al declino, il secondo di tali trasformazioni approfitta per crescere e affermarsi.
Insomma, altro che enciclica “anti-moderna”: nelle 200 pagine della “Laudato Si’” è disegnata una prospettiva di radicale e modernissimo cambiamento sociale, economico, culturale. Una prospettiva, va aggiunto, che mette in questione, non solo l’ideologia dello sviluppo economico come prospettiva lineare e intrinsecamente benefica, ma che sfida lo stesso pensiero ecologista. L’ecologia di Francesco è decisamente antropocentrica, nel senso che si preoccupa innanzitutto del destino dell’uomo. àˆ dunque assai lontana dall’ecologismo profondo di chi pensa che un coleottero abbia uguali diritti dell’homo sapiens. L’uomo – era difficile aspettarsi altro dal capo della Chiesa cattolica – è al centro del Creato, ed è al tempo stesso artefice e principale vittima di un uso dissennato degli ecosistemi.
Non bisogna essere credenti per condividere questa visione. Il clima che cambia, la biodiversità che s’impoverisce, i deserti che avanzano, i mari che si innalzano non mettono in pericolo la salute della Terra, che può sopravvivere a questi shock ecologici come nel tempo è sopravvissuta a tanti altri. A fare le spese di un modo di produrre, di consumare, di abitare insostenibile sarebbe prima di tutto uno dei milioni di specie che popolano il nostro pianeta: solo che quella specie è la nostra.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE